La scissione a destra del Movimento 5 Stelle, con la nascita del gruppo parlamentare “Attiva Sicilia”, è un passaggio che rischia di segnare completamente la storia di questa legislatura. E, a suo modo, rischia di determinare e stravolgere gli equilibri dell’Assemblea regionale e dell’intera azione di governo. Non va derubricato a semplice “smottamento” di un partito, il più rappresentativo fra l’altro, o si rischia di fare un torto alla verità. Il ragionamento da imbastire è più ampio, e va al di là delle solite logiche, comunque sensate, che vedono prevalere il “bene superiore” (nell’ottica di chi la scissione la provoca) o l’ “interesse di poltrona” (nell’ottica di chi la subisce).

C’è di mezzo la credibilità di un’istituzione e l’esigenza di portare a termine, da parte della coalizione di governo, un programma elettorale che potrebbe/dovrebbe permettere a Musumeci di rimanere in sella ben oltre la scadenza del mandato, fissata al 2022. Questo schema ci porta dritti alla considerazione più ovvia: cioè che i “grillini responsabili”, diventati d’un tratto portatori d’interessi (il proprio), abbiano agito per il puro gusto di diventare “stampella” di una maggioranza sbilenca, che il presidente della Regione ha sempre rifiutato (a ragion veduta) di ritenere tale. Si tratta, però, di una ricostruzione limitata e limitante. E’ vero: a palazzo dei Normanni non c’è una maggioranza chiara e numerica. C’è semmai una coalizione di centrodestra che ormai da due anni e mezzo prova a fare qualcosa, ma una volta arrivata al “dunque” si perde. E’ successo, ad esempio, sulla riforma dei rifiuti, che il Movimento 5 Stelle, dai banchi dell’opposizione, ha affossato all’articolo 1, con la complicità del Pd e di alcuni franchi tiratori.

La nascita di “Attiva Sicilia”, come riportato all’Ars dalla deputata Valentina Palmeri, avviene quel giorno lì: il 6 novembre 2019, quando il Movimento “poteva scegliere se migliorare o peggiorare le legge sui rifiuti, e poi valutare se affossarla o meno, facendo valere i nostri  numeri”. Invece, “abbiamo rinunciato volontariamente a questo processo e per me è stato inaccettabile. La goccia che ha fatto traboccare il vaso”. La legge sui rifiuti è il grosso nodo di questa legislatura. Riguarda la governance del sistema, e attenzione: Musumeci lo ritiene un cambiamento epocale, e per questo s’è indignato a tal punto (quel 6 novembre) da abbandonare l’aula, promettendo di non rimetterci piede fino alla modifica del voto segreto. Mentre il M5s, al contrario, l’ha giudicata uno specchietto per le allodole, totalmente inadatta a fronteggiare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel sistema delle discariche e, più in generale, a far rivivere il sogno di un’economia circolare legata al ciclo dei rifiuti (per quella servirebbe un “piano” e non una semplice riforma). Era arrivato qualche cenno d’intesa in commissione, ma poi è tutto naufragato tra i banchi di Sala d’Ercole, con le conseguenze che conosciamo: il governatore sull’Aventino e le opposizioni gioiose per averlo messo in ridicolo.

Sembra solo un capitolo della storia, e lo sarà senz’altro, ma il fatto di rievocarlo alla conferenza stampa di un neo gruppo parlamentare, la dice lunga sul valore intrinseco della rottura, e su quanto una convergenza di uomini e donne possa lasciare il segno (non per forza positivo) di una stagione politica. Ma è indicativo anche di un altro aspetto: “Attiva Sicilia”, al netto delle posizioni e delle idee (Sergio Tancredi continua a sostenere che quelle buone non sono né di destra né di sinistra, e ha ragione), ci sarà quando serve. La missione non è segreta: “Vogliamo terminare la legislatura in maniera dignitosa e portare a casa qualche punto del nostro programma elettorale”. Dare e avere è la regola. “Fare insieme” è una possibilità. Proprio qualche giorno fa il presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché, ha fatto sapere che il tema dei rifiuti – la riforma in senso stretto – tornerà in aula, con le dovute modifiche, in tempi brevi. Sarà scrupolo del governo portare a casa il risultato. E dei “dissidenti” grillini partecipare, magari migliorando la legge, per poter dire al proprio elettorato, deluso da questa spaccatura, che almeno loro hanno dato un senso della propria presenza a Palermo.

I terreni su cui confrontarsi non mancheranno. Anche se dal Movimento 5 Stelle “ufficiale”, che resta il gruppo più corposo all’Ars, sospettano che le divergenze siano meno accentuate di quanto non vogliano far credere i “ribelli”. E che l’assenza di dialogo sia solo un alibi. Le altre due leggi “pesanti” in cantiere riguardano l’urbanistica e l’edilizia. La prima, già esitata in quarta commissione, ha visto l’accordo di tutte le forze politiche, M5s compreso. E la seconda, al netto delle polemiche sui condoni edilizi, fanno sapere che “è votabile”. Da qui il dubbio, arricchito dalle circostanze (come la famosa votazione per la vicepresidenza dell’Ars), che l’addio sia dettato da altri motivi. “Erano partiti per cambiare la politica, hanno finito per cambiare casacca – recitano i grillini in una nota ufficiale -. Ci dispiace per i nostri ex colleghi, umanamente e politicamente, ma al di là delle dichiarazioni di comodo, un fatto è incontrovertibile: hanno tradito il mandato che i siciliani gli avevano affidato. Il tempo ci dirà se dietro la loro scelta c’erano le sirene della maggioranza o altri obiettivi. Se veramente non si ritrovavano più nel gruppo o nel Movimento, avrebbero potuto dimostrarlo con un unico gesto, le dimissioni, continuando a fare politica da semplici cittadini”. “La exit strategy – è il sospetto – era pianificata da tempo. E non regge la storiella della mancanza di democrazia all’interno del gruppo: le nostre decisioni sono state prese sempre a maggioranza e mai basate su ‘no’ a prescindere”.

Le ipotesi e le congetture viaggiano spedite: una è che l’artefice di questa nuova formazione sia l’assessore alla Salute, Ruggero Razza. Un’altra è che Nello Musumeci sia stato così bravo a “vendere” il suo prodotto da non rendere necessaria la presenza di un “mandante occulto”. Un’altra ancora suggerisce che il vero scopo degli ex grillini sia garantirsi una collocazione per le prossime Regionali: quattro componenti su cinque della nuova formazione, infatti, sono alla seconda legislatura e per le regole interne dei Cinque Stelle non avrebbero avuto alcuna chance di ricandidarsi. “Se è per quello – hanno risposto in conferenza stampa – nel Movimento si sta facendo largo l’ipotesi del terzo mandato. Se qualcuno di noi aspirava a tanto, sarebbe stato più facile restare”. Invece no, hanno preferito osare. Forti delle 52 mila preferenze ottenute nel 2017, hanno fuso le forze e si sono rimessi in gioco. “Non siamo un partito, né un movimento. Ma un progetto civico che potrà durare due anni o andare oltre”, è stato il mantra di Matteo Mangiacavallo, presidente del gruppo parlamentare.

Una pensata intelligente. Tenersi le mani libere – sarebbe stato impossibile costruire un’alternativa al Movimento venendo dal Movimento – è una mini-garanzia per il futuro. La garanzia di non avere padroni o cambiali da pagare. Altra cosa è guadagnarsi il consenso con un progetto nato in laboratorio (cioè nel palazzo): una sponda “politica” bisognerà comunque trovarla. Sul tavolo, anche se è del tutto prematuro, ci sono un paio di alternative: da un lato Gianluigi Paragone, eletto al Senato col Movimento 5 Stelle, ma rivelatosi un dissidente di ferro, che potrebbe dar vita a un suo partito; dall’altro Alice Salvatore, consigliera grillina in Liguria, che alla vigilia delle Regionali (poi rinviate per il Covid) si era sganciata dai Cinque Stelle, candidandosi alla presidenza con un proprio movimento (Il Buonsenso). Può essere un’ispirazione o un ripiego, ma non è da escludere.

Restando alla Sicilia, un esempio valido è Diventerà Bellissima. Un movimento regionale, autonomo e autoreferenziale, che si concede il lusso di starsene fuori dalla competizione (le Europee), e di esprimere il presidente della Regione. Il centrodestra,  rabberciato e instabile, rischia di diventare il naturale approdo di “Attiva Sicilia”. Anche se per il momento nessuno osa tanto: “Un assessorato? Lo escludiamo nel modo più categorico. Un presidente di commissione però ci piacerebbe”. E’ un ruolo, quello, che di rado spetta ai partiti di minoranza: soltanto Sammartino di Italia Viva, in commissione quinta, ne beneficia (Fava all’Antimafia è un’altra cosa). Giungere a un compromesso di quel tipo sarebbe un segnale della “corrispondenza d’amorosi sensi”. Non ancora definitivo, ma pur sempre un segnale.