Se non si trattasse di una questione drammaticamente seria, e con la vita delle persone non si gioca mai, potremmo dire senza timore di essere smentiti che le scorte sono tornate al centro dell’agenda politica. Anche se, meglio chiarire in partenza ogni equivoco, non è la politica che decide se e a chi assegnarle, se e a chi toglierle. Non direttamente, quanto meno. Bensì l’Ucis (il cosiddetto ufficio interforze), emanazione diretta del Viminale, che dialoga con l’intelligence e le forze dell’ordine, e valuta caso per caso. Certo, i protagonisti non aiutano l’opinione pubblica a ben comprendere cosa sta avvenendo e, soprattutto, perché le auto blindate e le guardie del corpo siano tornate così prepotentemente d’attualità.

Prendete Salvini e Saviano, il “merito” è soprattutto loro. Se ne sono dette di ogni non appena il Ministro dell’Interno, dopo averlo più volte ribadito da leader del Carroccio – ma in piena campagna elettorale, in cui è ammesso quasi tutto – è tornato a provocare lo scrittore (che di certo non occupa le prime posizioni nella lista dei suoi amici) spiegando che sulla sua scorta “saranno le istituzioni competenti a valutare se corra qualche rischio, anche perché mi pare che passi molto tempo all’estero. Valuteranno come si spendono i soldi degli italiani”. Saviano non l’ha presa bene e in un video ha attaccato il competitor, definendolo, tra le altre cose “buffone” e “Ministro della Malavita”. Non un tono con cui si rivolge abitualmente a un uomo di Stato.

Al di là della cronaca spicciola, torniamo all’origine di quella decisione. La scorta fu assegnata a Saviano nell’ottobre 2006, dopo aver ricevuto minacce di morte dalla Camorra all’indomani della pubblicazione di Gomorra, il suo best seller più rinomato. In pratica dodici anni fa. Privato da quel momento delle libertà garantite alla maggior parte degli italiani, Saviano è ancora sotto scorta. E’ una situazione a cui ci si abitua, che sta un po’ stretta, ma non un privilegio in termini assoluti. Ossia il messaggio che, secondo lo scrittore napoletano, intende far passare Salvini: “Ma secondo te mi diverto da 11 anni a vivere in queste condizioni?” si è stizzito Saviano. Ma l’ultima parola spetta all’Ucis.

Lo stesso ufficio che a maggio avrebbe, invece, già deciso le sorti di Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo, centrale in alcuni processi legati alla mafia. Secondo l’Ucis sarebbero venute meno le ragioni di una tutela rafforzata. Ma ad Ingroia, al quale la scorta venne assegnata ben 27 anni fa, questa decisione è parsa un fulmine a ciel sereno. Tanto da fargli sollevare la questione pubblicamente: “Si prospetta una condizione di pericolo grave e attuale – ha spiegato l’ex pm, che ultimamente è tornato a svolgere la professione di avvocato -. Ne ho parlato con il capo della Polizia Gabrielli”. Ha anche spedito tre lettere: una all’ex Ministro dell’Interno Minniti, le altre al suo successore Salvini.

Sulla testa di Ingroia che, dismessi gli abiti della politica nel 2013 ha vestito anche quelli da manager, pende la “condanna” di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta. Il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico avrebbe riferito di una discussione in carcere, con Totò Riina protagonista, in cui si progettava di far saltare in aria lui e Di Matteo, ipotesi poi accantonata per non ricorrere all’esplosivo e quindi provocare una strage. Adesso Ingroia gode di una vigilanza dinamica: “In sostanza devo comunicare con sufficiente anticipo i miei movimenti con una mail. E nel luogo dove mi trovo vengo raggiunto da una volante per un’attività di controllo. Lascio che siano gli altri a valutare almeno l’opportunità di una tale misura”.

Ed è il collega Nino Di Matteo a sottolineare i rischi di questa scelta: “La mafia e i potenti che colludono con la mafia non dimenticano. Ingroia è un uomo coraggioso che ha combattuto a schiena dritta per le istituzioni. L’incarnazione della magistratura a cui ho sempre aspirato. Togliergli la protezione fa inorridire. Cosa Nostra non dimentica”.