Già il titolo è emblematico, Non mi avete fatto niente. Ma nell’omonima canzone vincitrice del Festival di Sanremo, giusto dodici mesi fa, gli autori-interpreti Meta & Moro prendevano spunto da una lettera dolorosamente assurta agli onori delle cronache, scritta dal marito di una donna vittima di un attentato dell’Isis. Qui le Forze del Male “saranno” sicuramente altre: polizia, carabinieri, guardia di finanza, agenti della Polstrada, magistrati, secondini, amici dietro la cui benevola maschera si nascondeva il volto di Giuda, collaboratori malfidati, commercialisti imbroglioni, donne indispettite da un rifiuto o da un improvviso abbandono in epoca remota e per questo da allora velenose e vendicative, mariti fatti cornuti prima e dopo le nozze. Insomma, tutto il repertorio scuro, tenebroso, malevolo che Fabrizio Corona ha sempre tirato fuori per il suo martirologio, il mantra infinito e sempiterno del suo credersi 9 volte su 10 capro espiatorio di ogni vizio della società.

Ho scritto “saranno” perché non ho occhi e cuore per leggere Non mi avete fatto niente che è l’ultimo raid autobiografico di Corona, la solita discesa agli inferi nero su bianco che scambia la letteratura (presunta) per un lavacro pubblico e forse anche privato, la furba operazione editoriale per una confessione che dovrebbe far riflettere il lettore su cento sbagli veri e confessati e su mille accuse false, ingiuste, infondate e rispedite al mittente con esiziale acredine. Storia lunga, anche questa libresca (La mia prigione, Mea culpa, La cattiva strada) ben supportata da titolate e astute case editrici che più che acuti editor avranno sempre messo preventivamente a disposizione loro e del nostro eserciti di legali. E storia di gran successo di vendite, ovviamente. Quest’ultima, Non mi avete fatto niente, in ristampa su ristampa, dovrebbe essere nelle intenzioni di Corona stesso l’ennesima sfida al mondo dei ben e malpensanti, un’altra prova ancora (se mai ce ne fosse stato bisogno) del suo affrontare a petto nudo (si fa per dire, con tutti quei tatuaggi) le pallottole del nemico, un’ulteriore esibizione tutta muscoli del suo essere invincibile, d’acciaio, araba fenice e Highlander. Già il titolo: come dire, sono ancora qui; su, venitemi a prendere se avete il coraggio, non vi temo; eccomi, processatemi pure, non ho paura dei vostri codici e della vostra morale (perfino qualche politico, oggi, sembra inalberare lo stesso tono provocatorio). Inutile opporre la nostra, di morale, o tirar fuori il bignamino freudiano per spiegare fino alla noia quell’ipetrofia dell’ego.

Parlerò e parlerò sempre, minaccia Fabrizio fin da quella copertina dove si mostra con un gran cerotto sulla bocca pronto a strapparselo già da pagina 1, ben supportato dagli sguardi finto scandalizzati delle conduttrici di reality e talk show dove reclamizza il suo libro e la sua icona nera. C’è un capitolo che si intitola Fighe, tanto per dire pane al pane e vino al vino, con una lista dettagliata di nomi e cognomi, di signore e signorine, maritate e non, di occasioni e luoghi, di amplessi e giochetti, questa qui e quell’altra lì, questa così e quell’altra cosà. Anche il sesso per Corona, nella costruzione della sua mitologia negativa, è una corsa a duecento orari verso il cupio dissolvi. Senza nemmeno il tempo di calarsi le mutande.