Elisa è la sesta generazione di teatranti della famiglia Parrinello. Un’artigiana del mestiere. Danza, musica e teatro sono il suo pane quotidiano. Una “teatrante popolare”, dove per popolare si intende “il mettere in scena o fare esattamente come lo farebbe il popolo, nella sua semplicità”.

“Gelsomino H” è il primo spettacolo interamente scritto e diretto da Elisa Parrinello, una storia vera che tratta il tema delicato della disabilità, in modo semplice, che vuole sensibilizzare il sentire comune. Una storia di coraggio dedicata ai padri, una fiaba contemporanea per chi soffre nella propria solitudine ma cerca nel sorriso un modo per fare stare bene il proprio figlio.

“Gelsomino H” è andato in scena al Teatro Biondo, tra gli applausi del pubblico a scena aperta e l’attimo in cui si è chiuso il sipario, in cui il pubblico è rimasto folgorato, col fiato sospeso, inevitabilmente con una domanda in testa, uno spunto di riflessione in questa società che di riflessione ha bisogno.

Come ci è riuscita Elisa? Con i suoi strumenti del mestiere, cercando a tutti i costi la verità dietro la maschera usando un linguaggio semplice e diretto. “Tutto quello che scrivo”, racconta – “è il mio vissuto, la mia famiglia, le mie tradizioni, la sensibilità verso l’invisibile, verso gli umili e i più deboli. “Ciò che odio”, continua – è la falsità e la maschera dietro il teatro”.

Come nascono le tue storie? “Da quello che vivo quotidianamente. Sono legata alla sincerità e alla purezza dei bambini, essendo da più di 20 anni a contatto con i giovani. Sono stata educata all’amore dai miei genitori e per me la differenza è un arricchimento, un tratto affascinante di fronte al quale mi sento io la diversa”.

La storia di Gelsomino nasce da tante storie raccolte in un anno. Storie di chi era felice di avere un figlio o una figlia disabile preoccupato solo del fatto di non esserci più da un giorno all’altro, quindi del valore che una perdita avrebbe potuto causare. “Gelsomino è una storia vera, sono tante storie come quella che la scorsa estate ho vissuto ai Cantieri Culturali alla Zisa, quando dopo le prove dello spettacolo, un ragazzo disabile insieme al padre si avvicinano a me. Il padre mi chiede se quel giorno i Cantieri fossero animati da eventi. Dissi di no, era estate. Il padre era preoccupato su come avrebbe potuto intrattenere suo figlio anche quella sera. Pagare un biglietto per il teatro tutte le sere, era dispendioso! Quell’uomo era un uomo solo che non aveva più la moglie. Pensai allora di inventarmi una storia, che iniziai a raccontare al ragazzo lungo il tragitto. Gli dissi che lungo quella strada avrebbero sicuramente trovato qualcosa di bello, un’esperienza che avrebbero portato assieme a casa e custodito per sempre.

“Raramente cerco di fare cose sociali”, racconta Elisa – “ma quando comincio ad avvertire qualcosa di forte che vedo e sento, allora prendo i miei strumenti, quelli dell’arte, la danza, il canto e la recitazione e inizio a dipingere. Lo dico sempre a tutti che volevo fare la pittrice”.

In questo momento in cui si parla tanto di immigrazione, di femminicidio e omofobia che sono temi delicatissimi, uno dei temi che c’è sempre stato ma di cui si parla poco e che coinvolge almeno tre famiglie su cinque, è la disabilità.

“Quello che porto in scena e intendo raccontare, è amore verso quello che sento. Vorrei far capire alla gente che esiste questo atteggiamento positivo e amorevole oltre ogni problematica. Nei miei spettacoli l’imperfezione diventa perfezione. Qualcosa di fresco, puro, originale e istantaneo secondo me diventa più bello di quello che ognuno si era prefissato, anche dello spettacolo stesso”.

Se c’è un sogno nel cassetto di Elisa, quel sogno è quello di fare un film. “Penso a Gelsomino come ad lungometraggio di animazione, in stile Pixar. Poetico, dolce, con una storia semplice, dei genitori coraggiosi e questi ragazzi uguali a noi. Vorrei fare un film per arrivare a più gente possibile”.