Se Enrico Berlinguer si fosse affidato a un sondaggio per dire o meno che si sta più sicuri “sotto l’ombrello della Nato”, quelle parole forse non le avrebbe mai pronunciate. Non mangiavano i bambini i comunisti italiani, e preferivano i film di Hollywood rispetto ai viaggi a Mosca ma, insomma, il Vietnam, il Cile, i colonnelli in Grecia: il sondaggio avrebbe registrato un sonoro “yankee go home”. Sul compromesso storico l’esito sarebbe stato analogo, perché il popolo comunista voleva, sull’onda lunga del Sessantotto, l’alternativa al “regime democristiano”, al suo potere inamovibile e ai suoi “forchettoni”, custode anche opaco di uno status quo, nell’Italia della strategia della tensione e delle stragi di Stato. E se, per concludere, il sondaggio fosse stato su trattare o no con le Br per salvare Aldo Moro, magari avrebbe tenuto il senso delle istituzioni di un partito che Palmiro Togliatti aveva educato a “farsi Stato”, ma chissà. Non chiediamoci, per carità di patria, cosa accadrebbe oggi nel grande talk nazionale delle tifoserie pro e contro, in cui conoscerebbero momenti di gloria professorini ingaggiati in prima serata nel servizio pubblico come esperti di Br.

Ricordare Berlinguer a cento anni dalla nascita, nella Repubblica dell’antipolitica, significa riflettere (il discorso non riguarda solo il leader comunista) innanzitutto sulla grande politica: la politica capace di scegliere, guidare, sfidare anche l’impopolarità, costruire il consenso e non seguire l’onda. Continua sull’Huffington Post