Leoluca Orlando aveva provato a renderla la città della cultura. Per un anno, nel 2018, ne è stata persino la Capitale. Ma Palermo ha dimenticato troppo in fretta il luccichio dell’arte e di Manifesta. E del professore che vola a Berlino, in Germania, dove rilancia l’immagine di una città “diventata la più sicura d’Italia”, anche in tema d’accoglienza e di diritti umani. Una sensibilità quasi esasperata, mostrata al mondo con piglio orgoglioso, il cui rovescio della medaglia è una dicotomia quasi insopportabile, aberrante. E’ la Palermo dei rifiuti, che nessuno sponsorizza; e dei palermitani indignati, che ormai hanno imparato a passarci sopra. In senso letterale, dato che i cigli delle strade sono di nuovo invasi dalla monnezza, come è accaduto spesso; e anche in senso metafisico, dal momento che ogni parola su questo reflusso gastrico diventa fiato sprecato. Palermo è così: prendere o lasciare.

Dimostra Orlando, che oltre ad ammettere la difficoltà dell’emergenza, e chiedere ripetutamente di portare i rifiuti all’estero, non assume una sola iniziativa capace di spazzare via l’onta della vergogna. Si è vestito anche da netturbino, intento a raccattare divani sui marciapiedi, pur di mostrarsi “vivo”. Ma così ha finito per legittimare l’inadeguatezza. Perché le mille discariche abusive che, soprattutto di questi tempi, s’addensano sui marciapiedi di Palermo, non dovrebbero mai esserci. E invece, adesso, si sono moltiplicati, perché per qualche giorno è andato in tilt il centro di raccolta comunale di Santa Flavia, e la raccolta degli ingombranti è stata momentaneamente sospesa (è ripartita da un paio di giorni). Ma non sono solo gli ingombranti. I rifiuti accatastati sui marciapiedi (3 mila tonnellate) sono i rifiuti di tutti, che nessuno ha voglia di differenziare (Palermo è inchiodata sotto il 20%: ma questa è un’altra storia…). Con le campane piene, l’unico posto è la strada. Finché un intervento straordinario previsto chissà quando rimuoverà anche quelli.

Nel frattempo l’unica immagine che viene a galla è quella di una città nauseabonda, come gli odori (irriducibili) che si sollevano in vari quartieri. Ma rispetto alle altre crisi, questa è speciale: non è chiaro se e quando finirà. Il fatto è che il comune di Palermo e la Rap, la municipalizzata del Comune, non sanno più dove abbancare i rifiuti. I problemi sono (ri)cominciati da un paio di settimane, quando ha chiuso la discarica di Alcamo, a causa di un’autorizzazione mancante. Consentiva di scaricare 450 tonnellate di spazzatura al giorno. Che adesso rimangono per strada.

O a Bellolampo, una delle poche discariche della Sicilia. Non il modello a cui si ispira la Regione per completare la rivoluzione green. L’assessore all’Energia Alberto Pierobon, assieme ai suoi tecnici, ha scritto un nuovo piano dei rifiuti che ha avuto il nulla-osta da parte della commissione Via-Vas (già contestato dal M5s). Punta al rilancio dell’impiantistica pubblica e prevede persino un inceneritore. Ma se tutte le discariche fossero come Bellolampo, la Sicilia sarebbe spacciata. L’impianto palermitano è saturo, esaurito, da oltre un anno: non consente di abbancare spazzatura, ma solo di trattarla nel Tmb (impianto di trattamento meccanico biologico) per poi trasferirla altrove. Ma anche trattare i rifiuti diventa complicato se all’interno dei cassonetti, come è accaduto di recente, trovi i residui di un mondo andato: materassi, carcasse di scooter e frigoriferi, persino un’urna cineraria.

Così molta monnezza resta fuori, nei piazzali, dove non potrebbe. Per questo il presidente della Rap, Giuseppe Norata, è finito nel registro degli indagati del Noe, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri. L’accusa è disastro ambientale. Chi prova a fare qualcosa, diventa automaticamente un fuorilegge. L’unica soluzione contemplata, ma impraticabile, è la stasi. Norata spera che la Regione autorizzi in fretta l’ampliamento della sesta vasca (il progetto è stato consegnato il 18 novembre all’assessorato Territorio e Ambiente e l’iter dovrebbe concludersi entro metà gennaio), e realizzi anche la settima. A questi ritmi – vengono prodotte 900 tonnellate di indifferenziata al giorno – non basterebbe comunque. Così l’extrema ratio, per ridare dignità a Palermo almeno sotto le feste, è portare i rifiuti fuori dalla Sicilia. Rap ha pubblicato un bando che scade il 21 dicembre. E nel frattempo, dato che emergenza chiama emergenza, spera di affittare le pale meccaniche da alcune ditte private (anche i costi chiamano costi) per incentivare la raccolta. Ma ci vorrebbe un personale che la Rap non ha: l’ha perso nel corso degli anni coi pensionamenti e con gli scandali.

Norata, che nel silenzio del sindaco non accetta di assumersi tutte le responsabilità del caso (potrebbe essere considerato un eroe solo per il fatto di non essere fuggito di fronte a un disastro annunciato) ha presentato la sua ricetta per risolvere l’emergenza (sic!): “La soluzione sta tutta in un progetto di gestione integrata dei rifiuti, che prevede: l’avvio della raccolta differenziata su tutta la città, anche con modalità diverse dal tipico porta a porta; un impianto di trattamento della frazione organica e recupero di metano (già a gara UREGA); un impianto di trattamento/recupero degli ingombranti (in corso di progettazione); un impianto di valorizzazione della frazione secca proveniente dalla raccolta differenziata; ammodernamento e potenziamento dell’esistente impianto di Trattamento Meccanico Biologico (TMB); un impianto di trattamento finale del residuale con recupero energetico; la settima vasca, come discarica di servizio  ove conferire massimo il 10% dei rifiuti prodotti; un impianto di trattamento dei percolati, per garantire la sicurezza ambientale. Da tutto questo insieme si ottiene la soluzione”. Solo che per mettere insieme tutti questi impianti, serve una montagna di soldi. La verità è che non si è ancora attrezzati per le cose elementari, figurarsi per i miracoli.