Una pratica “tipicamente italiana”. La querelle sulla candidatura dei leader dei partiti italiani alle Europee di giugno si accende a Roma – anche all’interno dei partiti stessi – e arriva fino a Bruxelles. Stando a quanto racconta LaPresse, un alto funzionario del Parlamento europeo osserva: “Fa parte della tradizione politica italiana, così come candidarsi in più collegi elettorali contemporaneamente. Non credo esista in altri Paesi e non ricordo altri casi”. In Italia le attenzioni si concentrano sulla premier, Giorgia Meloni, e sulla segretaria del Pd, Elly Schlein. Mentre, però, la prima ha liquidato la questione dicendo che sta riflettendo – e pare curasi poco della rinuncia alla corsa degli alleati Matteo Salvini e Antonio Tajani – intorno alla possibile candidatura di Schlein si ricama parecchio. Dentro e fuori il partito, tra consigli non richiesti e preoccupazioni di alcune componenti.

C’è una certa agitazione, in particolare, tra le donne del Pd, convinte che la possibile candidatura di Schlein a capolista in tutti i collegi possa avere una serie di controindicazioni. “Ci metto la faccia”, ha detto ieri la segretaria dem in un tour abruzzese, non ufficializzando nulla ma lasciando intendere. Nonostante il travaglio, interiore ed esteriore, Schlein sta seriamente valutando di provare una corsa di bandiera verso il parlamento di Strasburgo. A questa prospettiva risponde Paola De Micheli: “Vorrei cominciare dall’effetto che inevitabilmente genererebbe sulla corsa delle altre candidate – dice Paola De Micheli a Corriere della Sera – la segretaria capolista dovrebbe lasciare il posto al secondo, un uomo, per via dell’alternanza”. Poi la stoccata: “Sarebbe la prima segretaria a candidarsi. Renzi invece candidò in Europa cinque donne. Con lo straordinario risultato che ricordiamo”. Il famoso 40% di cui il leader di Italia Viva ancora si vanta. Continua su Huffington Post