Nella Palermo di ieri inventarsi un’orchestra e una scuola legate al jazz era sintomo di eresia. E il coraggio, nel mondo della musica, non appartiene a molti. Ignazio Garsia, in questo, è una rarità. Capace di varcare l’ostacolo prima che si presenti. Capace di produrre innovazione prima che se ne manifesti il sentore. La sua grande scoperta compie 45 anni: si chiama Brass Group. E tra meno di un mese comincia un’altra stagione musicale: l’esordio, l’8 e il 9 novembre, con il Grammy Award Chrstian Tumalan & Ojs. Un doppio turno al venerdì, e un doppio turno al sabato. La prevendita procede a gonfie vele. Ci sono alcuni sold-out da registrare. Nonostante tutto.

E quel “nonostante” deriva da una sensazione meno artistica, più pragmatica, che il maestro Garsia si porta dietro da una vita: “Il senso di colpa nell’aver dato, a quanti mi sono stati vicini in 45 anni, sofferenze, dispiaceri, pochi soldi, tagli agli stipendi”. Mancanza di prospettiva, aggiungiamo noi. L’assenza di un’orchestra stabile è un cruccio enorme. Ci ha provato a interloquire con la politica. Ha provato a chiedere se la Sicilia, servita così bene da un punto di vista musicale (“C’è un ente lirico a Catania, il Bellini; un ente lirico a Palermo, il Massimo; un’orchestra sinfonica regionale”) non avesse bisogno di “un’orchestra che operi stabilmente e offra 365 giorni all’anno un contributo musicale dal punto di vista produttivo. In cui siano i siciliani fare musica”. Musica jazz, ovviamente.

Maestro, ci spiace ricordarglielo. Ma esiste il detto che “con la cultura non si mangia”.

“Non immagino un’orchestra stabile in funzione del “posto fisso”. Ma della continuità della produzione. Se l’informazione musicale deve essere corrispondente ai bisogni di una comunità, è giusto che si possa vivere di questo, e non rimanere ai margini. Chi esce dal conservatorio Bellini di Catania con un diploma di violino, può partecipare a migliaia di bandi, ambire all’Opera di Parigi o alla Scala di Milano. Mentre non riesco ad accettare che l’unica ambizione di chi sceglie il jazz, è ritrovarsi a suonare in un sushi bar, di fronte a qualcuno che sorseggia drink”.

Sta dicendo che il jazz è considerato musica di Serie B?

“Se si lascia intendere che la musica di Serie A va difesa, e quella di Serie B va buttata a mare, significa che c’è qualcosa che non funziona. Che non si fanno gli interessi della gente, ma delle corporazioni. Pensi se la medicina riuscisse a curare tutti i mali, ma non quello delle ossa perché non esiste il reparto di ortopedia. Anche la musica va difesa nella sua globalità, come la vita umana”.

Ma il suo esperimento con il jazz è riuscito.

“Ma io difendo la musica. Trovo giusto che esistano delle istituzioni, che rappresentano la nostra storia e la nostra cultura (la lirica, ndr), a cui vengano garantiti un servizio e un’informazione continua. Ma non trovo giusto che non avvenga il contrario. Non permettere, cioè, che possa esistere una voce fuori dal coro”.

Come si sostiene economicamente il Brass Group?

“Per legge godiamo di un contributo da 250 mila euro, da parte della Regione, come fondo di gestione ordinaria. Poi attingiamo alle premialità del Furs, il fondo unico regionale per lo spettacolo (quest’anno -30% rispetto al 2018). Avendo un piano di ammortamento di una situazione debitoria pregressa, considerando i costi di un’orchestra, ma anche la manutenzione del Teatro Santa Cecilia e dello Spasimo, più le utenze varie… Provi a fare lei i conti”.

Qual è l’elemento distintivo del Brass Group?

“La cosa più importante che ha fatto il Brass, oltre a ospitare grandi musicisti come Chet Baker, sempre in chiave formativa, è aver creato un’orchestra dal nulla. Trent’anni fa presi i musicisti dalla strada, dalle sagre di paese, dalle bande cittadine. E chiamai a dirigerli i più grandi maestri del mondo. Quella orchestra suona insieme da trent’anni e ha sviluppato un sound unico. Ciò che qualifica il sound non è la tecnica individuale, ma la capacità di stare insieme, a contatto l’uno con l’altro. Quando venne Carla Blay a Palermo volle fare un disco con l’Orchestra Jazz Siciliana perché restò folgorata dal suono. E’ una delle migliori orchestre d’Europa”.

La musica come produzione locale.

“Nella mia testa c’era l’idea che la musica jazz si dovesse produrre a Palermo e per fare questo bisognava avere musicisti, una sede, un’orchestra e creare tutte le condizioni. Chiunque può ospitare i quartetti americani. Basta avere dei soldi e un numero di telefono. Al Brass la prospettiva cambia”.

Esiste un ricambio? O suonano sempre gli stessi elementi?

“Abbiamo costituito da qualche tempo la Brass Youth Jazz Orchestra, fatta da giovanissimi, che con l’aiuto delle prime parti – il primo trombone, la prima tromba, il primo sax – sviluppano il sound che si eredita come nel principio dei vasi comunicanti. Grazie ai giovani il sound si va rinnovando, nella speranza che prima o poi questa orchestra diventi stabile”.

Cosa rappresenta per lei il jazz?

“Il jazz è la musica del nostro tempo perché fonde i linguaggi. Le musiche di derivazione afro-americana, come il blues, ma anche il rap e la black dance, derivano dal jazz. Il jazz è la lingua del mondo. C’è dentro l’Africa, c’è dentro l’Europa, c’è dentro la lirica, c’è dentro anche Puccini. Quando senti una bella melodia, anche nel jazz, non puoi non pensare alla musica italiana. E’ la musica del nostro tempo perché le racchiude tutte”.

Per cosa si caratterizza la nuova stagione musicale del Brass?

“Da un lato per la produzione della nostra orchestra, che suona una volta al mese. Mentre una o due volte si potrà ascoltare la Brass Youth. Dall’altro lato facciamo ospitalità, con dei gruppi che mantengono vivo l’interesse del pubblico e ci permettono di avere delle entrate al botteghino. E, inoltre, ci sono le produzioni cameristiche, con 4 o 5 strumentisti, più un solista non residente. Una sorta di produzione originale con quelli del posto, a cui partecipa anche un ospite”.

Qual è l’aspetto della fondazione di cui va più fiero, al di là delle abilità sviluppate da allievi e orchestrali?

“La didattica. Per me uno dei motivi di vanto è aver rifondato il dilettantismo musicale. Da quando esiste il Brass chiunque può fare musica: non devi avere un diploma, non devi fare l’esame di ammissione, né sostenere dei test attitudinali. Se vuoi fare musica, anche a 70 anni, vai al Brass e ti iscrivi perché è una scuola aperta. E chiunque vuol fare musica la fa. Vengono anche i pensionati o i bambini di cinque anni, perché sanno che dopo qualche tempo, frequentando il Brass, puoi finire alla Carney Hall come è successo ai nostri allievi, o suonare all’auditorium Renzo Piano. Al Brass c’è grande vitalità”.

E avete un teatro unico nel suo genere, il Santa Cecilia. Che una volta si pensava di utilizzare come sala prova del Teatro Massimo.

“Non esiste un altro teatro del 17° secolo destinato al jazz. Il Lincoln Center di New York è magnifico, ma moderno. Non se ne trovano a Vienna, Berlino, Parigi. E inoltre, il più antico jazz club italiano ha sede allo Spasimo, un sito del cinquecento. Non saprei dirle il perché di questi primati, ma mi piace pensare che c’è un fil rouge”.

Ha senso affermare che la Sicilia, e Palermo, sono la nuova culla del jazz?

“Le cose non succedono per caso. Renzo Arbore, non Ignazio Garsia, disse che un contributo determinante alla nascita del jazz lo hanno dato i siciliani. Un “certo” Nick La Rocca incise il primo disco jazz in America. A cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento le navi partivano da Palermo cariche di migranti. Perché abbiamo inciso così tanto? Forse perché più vicini all’Africa, o perché gli arabi hanno dominato per secoli la Sicilia. Una risposta razionale non ce l’ho, ma credo che in ogni cosa c’è un fondamento di verità, quindi ci sta che tanti siciliani abbiano contribuito alla nascita di questo genere che, assieme al cinema, ha segnato la storia del Novecento”.

Come si pone il pubblico di Palermo nei confronti del jazz?

“E’ il più competente, è colto, perché si è formato con questa musica. La ascolta da 45 anni. Palermo di per sé ha grande tradizione musicale, perché ha tre orchestre: l’Orchestra Lirica del Teatro Massimo, l’Orchestra Sinfonica e l’Orchestra Jazz. E’ una città colta e informata da un punto di vista musicale. E ha sempre ricambiato con affetto l’impegno serio e sincero del Brass Group”.