Claudio Fava è più deciso che mai a prendersi lo scettro di Musumeci. Il deputato dei Cento Passi, presidente della commissione regionale Antimafia, conferma a Repubblica la sua voglia di candidarsi alla presidenza della Regione, flirta con pezzi di Italia Viva (“Nicola D’Agostino è un amico, con Tamajo e Cafeo ci sono ragioni di intesa politica”), ed enuncia alcuni punti programmatici da trattare immediatamente: “Primo: i rifiuti, per abbandonare la colpa di aver accettato che il monopolio dei privati fosse un tabù da ossequiare. Secondo: riformare la pubblica amministrazione”. Ma anche “valorizzare il grande giacimento culturale e ambientale che abbiamo, investire sulla mobilità, risolvere le disuguaglianze sociali. A partire da questo si affronta tutto il resto”.

La domanda è con chi. Fava immagina di poter “rappresentare uno schieramento più ambizioso della sinistra o del centrosinistra. Voglio andare a cercare il consenso in settori della società che fatico a inquadrare nella casella dei moderati – ribadisce Fava -. Ci sono artigiani, commercianti, ceto medio insoddisfatto: a loro non dobbiamo dire “sono moderato”, ma parlare dell’enorme disuguaglianza sociale. Usciamo da questa pandemia con 400mila nuovi poveri e un’imprenditoria prosciugata”. Vorrebbe prendere voti a Musumeci, verso il quale non è mai stato tenero. Tanto meno adesso che si intravede all’orizzonte il rientro in giunta di Ruggero Razza. Il problema non è l’ex assessore in sé, ma quella che viene considerata “un’impuntatura, la concezione di una politica gestita con amici, famigli, vassalli cui distribuire feudi secondo il capriccio del principe”.

Fava dedica un capitolo delle proprie delusioni anche all’attuazione della Finanziaria 2020, in larga parte bloccata: “Le promesse scritte nella Finanziaria sono state una delle più grandi truffe politiche ai danni dei siciliani. Non c’era un centesimo”. Mentre sui 250 milioni di ristori promessi dal governo, avallati anche da Roma, “resta un dubbio sulla capitalizzazione politica di questa spesa. Dovremmo fare sistema delle risorse culturali e ambientali della Sicilia: ci accontentiamo però della somma di piccoli interventi”.

Tranchant il giudizio sul Ponte: “È una beffa per tre motivi: perché apriremmo un cantiere senza sapere se siamo in condizione di chiuderlo, perché c’è l’incertezza per la fragilità economica più che strutturale e soprattutto perché nell’Isola i tempi per lo spostamento interno sono identici a quelli dell’Italia giolittiana. Di fronte a tutto questo si continua a sventolare questo drappo rosso per animare ansie e speranze”.