A Roma non c’è accordo tra Movimento cinque stelle e Partito democratico.

Non c’è accordo in nessun’altra delle grandi città nelle quali si voterà in autunno. Ognuno per sé e tutti per la destra. Enrico Letta ha cercato l’alleanza con i grillini finendo sul muro di gomma di una realtà acefala, opaca, impigliata in incomprensibili e paradossali vicende che rischiano di diventare anche giudiziarie, prigioniera di una società privata che, da anni, condiziona la più grande forza parlamentare e di riflesso le istituzioni del Paese e con un “garante” che ha necessità di qualcuno che “garantisca” lui, aiutandolo a ritrovare un normale equilibrio mentale.

Malgrado il Movimento abbia mostrato da tempo di non essere in grado di compiere una scelta diversa da quella dell’arrocco nella speranza di tenere ciò che di esso resta, riducendo il rischio di ulteriori scissioni – questo lo costringe a ribadire il sostegno a Raggi, pur nella sua improponibilità per la rielezione -, per parecchio tempo Letta ha tentato di trovare un’interlocuzione, sulla base dei più elementari presupposti della politica e della logica: si è stati insieme con una buona sintonia nel secondo governo Conte, in sintonia ci si trova anche ora all’interno della difficile e composita maggioranza che sostiene Draghi, si discute del probabile ingresso del Movimento nel Partito socialista europeo, insieme si deve fronteggiare una destra che, seppure oggi divisa, tornerà unita alle prossime elezioni nazionali e finirà intanto per  trovare candidati comuni per le amministrative.

Per queste ragioni è del tutto evidente l’esigenza di essere uniti nelle competizioni elettorali. Il segretario del Pd ha immaginato che questo percorso sarebbe stato più agevole con Giuseppe Conte, un interlocutore affidabile, un leader in grado di guidare il Movimento, di tirarlo fuori dalle sabbie mobili nelle quali è finito, di conferirgli una identità, di farne un soggetto politico che con le altre forze cerca il confronto e l’accordo su valori e programmi condivisi.

È sembrato, così, che anche a Roma e nelle altre città ci potesse essere uno sbocco conseguente e che in questa direzione operasse utilmente lo stesso Conte, il quale, ormai da tempo, tenta di assumere il suo ruolo di capo, ed è, invece, finito prigioniero di una realtà in preda a pulsioni contraddittorie, avviluppata nei lacci e laccioli che si è costruita addosso e dai quali non riesce a districarsi. Non è detto che, da qui alle prossime elezioni nazionali, non possano essere spezzati quei lacci e che non sia possibile un’intesa tra il Partito democratico e ciò che sarà il Movimento cinque stelle. Ma a quell’appuntamento molto probabilmente si arriverà dopo aver pagato un prezzo altissimo, con la consegna alla destra di molte delle grandi città nelle quali si voterà.

Quanto sta avvenendo a Roma, a Milano, a Torino, a Napoli e a Bologna si riprodurrà quasi certamente a Palermo e a Catania, nelle elezioni della prossima primavera e in autunno, per il rinnovo dell’Assemblea. Anche qui, in vista di queste scadenze, il Partito democratico cerca un’intesa con il Movimento e anche qui non si capisce cosa esso voglia, con chi interloquire al suo interno, se una scelta sarà in grado di fare senza subire ulteriori laceranti rotture.

In Sicilia c’è una realtà atipica, ci sono partiti di centro con un consistente consenso, c’è Forza Italia con una percentuale di voti più elevata che nel resto del Paese e interessata a mantenere una propria identità, a non lasciarsi fagocitare dalla Lega e da Fratelli d’Italia. C’è l’anomalia di un presidente della Regione con un suo piccolo partito che, all’interno della destra, rimane in una sorta di limbo e con una incerta prospettiva della ricandidatura. Nell’Isola ci sarebbero le condizioni per favorire una scomposizione della maggioranza e per preparare una prospettiva elettorale che non dia per scontata la sua unità. Questa ipotesi, di per sé difficile da perseguire, diventa velleitaria se la si vuole cercare a partire da un’alleanza tra il Partito democratico e il Movimento cinque stelle nella condizione in cui si trova oggi. Già Cancelleri, il suo più autorevole esponente, si è dichiarato disponibile per un’intesa con le forze moderate, precisando tuttavia, non si capisce con quale coerenza logica, che non si può stare con i partiti che sostengono la giunta Musumeci, partiti tra i quali vi sono proprio quelli con cui si dovrebbe cercare un’alleanza.

C’è ancora tempo per le elezioni amministrative a Palermo e a Catania e ancor più per quelle regionali e il tempo può modificare l’attuale realtà. Il Movimento cinque stelle può uscire dalla condizione amebica che lo condanna alla irrilevanza se non alla estinzione.

Restano più probabili le difficoltà di compiere una scelta, si consolida il rischio di un avvitamento del partito di Grillo e l’ulteriore appannamento di una speranza che non ha saputo trasformarsi in certezza, di un moto dell’anima di tantissimi giovani che, per quanto generoso, si è esaurito in confuse e velleitarie proposte, in un astratto disegno metapolitico, non riuscendo a legare principi e valori alla concretezza e alla durezza dei problemi.

Può darsi che Conte, dopo aver chiuso questa brutta pagina di soldi e di ripicche, sia in grado di dare identità al Movimento e di individuare per esso una linea politica univoca. Non c’è un inesorabile determinismo nelle vicende della storia, a volte c’è una somma di scelte che inesorabilmente portano all’autodissoluzione. Quos deus vult perdere, dementat prius. Per le forze politiche che, al di là delle oscillazioni dei consensi, del ruolo di governo o di opposizione, hanno una storia e una identità tuttavia sempre da aggiornare, il traguardo temporale delle scadenze elettorali è importante, ma rimane fondamentale un orizzonte di più lunga portata. Il Partito democratico non dovrà abbandonare la ricerca di un’interlocuzione con le forze di centro e, se ne sarà capace, in Sicilia potrà svolgere un ruolo essenziale in vista delle elezioni e, comunque vadano, al governo o all’opposizione. Se con il Movimento cinque stelle non si riuscirà a trovare un’alleanza, che malgrado tutto si dovrà continuare a cercare, se esso rimarrà nella condizione attuale, vi saranno l’opportunità e il dovere di raccogliere le speranze e la protesta che negli ultimi anni lo hanno inondato di consensi e che dovranno trovare un’alternativa, evitando che la delusione si trasformi in rifiuto della politica, in protesta senza sbocchi, in rabbia pericolosa, specialmente nella condizione sociale ed economica della Sicilia.