Fiammetta Borsellino non molla di un centimetro la presa. Continua a porsi domande perché non ha ancora appreso la verità sulla fine del padre, il giudice Paolo. La strage di via D’Amelio resta avvolta nel mistero. Per quello che ne è seguito: il più grande depistaggio della storia d’Italia. Così lo ha definito Claudio Fava, presidente regionale della Commissione Antimafia, che ieri sera, assieme alla Borsellino e al procuratore generale Roberto Scarpinato, era presente a un evento organizzato alla Feltrinelli di Palermo. In cui Fiammetta ha ricordato – non senza una buona dose di irritazione – la relazione conclusiva di Fava sul caso che ha riguardato il padre e che per tanti mesi è stato oggetto di discussione all’Ars.

Fiammetta ha sempre sostenuto che l’assenza di alcuni magistrati influenti alle audizioni – su tutti Nino Di Matteo e Ilda Boccassini – fossero un gesto irrispettoso nei confronti del giudice. E ieri non le ha mandate a dire al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha deciso di non costituirsi parte civile al processo di Caltanissetta riguardante, appunto, il depistaggio: “Non sono abituata a dare giudizi perché non mi considero la persona idonea a farlo. Credo che ci siano soltanto dei fatti che si commentano da soli: ciascun uomo di buona volontà sa ben codificare determinati atteggiamenti e determinati comportamenti istituzionali”. Poi l’attenzione della Borsellino – a proposito di scarsa collaborazione istituzionale – si è spostata sul ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per la mancata apertura degli archivi del Sisde. Un atto propedeutico a esigere chiarezza. Ma di chiarezza, fin qui, nemmeno l’ombra. La conclusione più logica è quella del procuratore Scarpinato: “Ci sono delle persone che sanno ma non parlano, perché evidentemente hanno qualcosa da temere”.