Non basta più la solita liturgia del dolore che ogni anno i siciliani recitano durante l’estate. Occorre prendere coscienza che il primo attore di questo dramma continuo, perseverante, assurdamente perpetuato, è la Nostra Madre Terra. Chi brucia la propria madre si macchia di un delitto insanabile, imperdonabile, criminale. Chi ha assistito come me, nei giorni scorsi, al grido di dolore della natura, degli animali e degli uomini durante la distruzione di una delle vallate più belle e prospere della Sicilia, a Gangi, non può restare fermo nel declinare la propria tragedia.

La prima iniziativa da intraprendere, attraverso la partecipazione di tutti, è l’immediata revisione dell’art.432 bis del codice di procedura penale che prevede pene lievi come piume e, spessissimo, inapplicabili. Per fare la bellezza di un territorio, per costruire la sua armonia, per far crescere un bosco, una faggeta, un mandorleto, un uliveto e tutto quanto partecipa allo sforzo di questa bellezza, ci vogliono generazioni, pazienza, attesa, atti di fede. Non si può soltanto dire calamità. Ecco perché gli autori di questi incendi devono essere puniti come alla stregua di criminali di guerra, attori di un genocidio della natura. Chi, come me, ha assistito nella vallata di Montededaro, Chianazze, Prato, Cavaliere, Trebrazzi, Rainò, Abate, allo gemere di querce incendiate, castagni secolari crollati come paglie, case distrutte, fienili svaporati insieme al lamento degli animali sgomenti o morti durante una fuga vana, pianti di uomini impotenti contro la furia del fuoco, non può soltanto assommare il proprio dolore. Occorrono iniziative forti e civili, capaci di cambiare le norme e le regole del “gioco”. Non bastano gli aiuti e lo stato di calamità se autori di questa immane ed insanabile tragedia sono le mani di uomini malvagi. Vanno puniti severamente e senza appelli.

Così da rivedere è il piano della prevenzione che non può essere avviata ad estate in corso. 38.000 uomini della forestale sono sufficienti. Che vengano formati e stabilizzati, che diventino un esercito di professionisti e non solo ricettacolo di consenso politico e assistenziale. Che si forniscano di mezzi idonei ma anche di controllo sulle attività che svolgono, che raggiungano gli obiettivi di un programma serio e reale di lotta agli incendiari.

Non si può continuare cosi. L’irreversibile e pianificata distruzione è arrivata a un punto di non ritorno. Se continuerà così, lasceremo in eredità alle prossime generazioni, al posto di un’isola straordinariamente bella, la Sicilia, un deserto, solo un deserto dove neanche gli eremiti vorranno abitare. Non si può più piangere ma agire con una pianificazione vera e operosa, sebbene gli spettatori innocenti di questa criminale operazione, sono gli allevatori, gli animali, le fattorie, la fatica quotidiana, la perseveranza nel coltivare la propria terra, gli alberi e la fauna presente. Il vittimismo dei politici e degli amministratori non è più credibile. L’albero si giudica dai frutti che dà. I risultati contano. Che tutti si facciano portavoce di un cambio di rotta, se veramente si vuole orgogliosamente, appartenere alla Sicilia con onore. Gangi risorgerà e anche il resto delle Madonie. Ma non si può più aspettare.

(Carmelo Zaffora, nativo di Gangi, dirige un Dipartimento di Salute mentale di Catania. Ma è anche pittore e scrittore. Questo articolo è tratto dalla sua pagina Facebook)