“La batteria per me è una macchina da cui fare scaturire suoni, ritmi ed emozioni. Ma il motore di questa macchina, peraltro meravigliosa, resta sempre l’uomo, l’artista”. Queste sono le parole dello storico batterista palermitano Gianni Cavallaro, jazzista, che stasera si esibisce al Tatum Art nel centro storico di Palermo. Considerato una delle colonne portanti del jazz italiano, decano della scena siciliana, Gianni è uno scrigno di passione per lo strumento e la sua storia è ricca di aneddoti e di un innato pudore nonostante l’incisività e l’energia delle sue esibizioni, se è vero che nella musica come nella batteria si impara a scandire il silenzio oltre che il ritmo. Aneddoti curiosi circondano la sua lunga carriera come quella con Pippo Baudo e con il figlio di Benito Mussolini. Inizia poco più che adolescente, e ad agosto di quest’anno compie 83 anni. I suoi primi ingaggi professionali lo vedono a fianco di celebri nomi della musica commerciale, forse un po’ dimenticati, come Sergio Endrigo, nei night club di molte città italiane, e in Grecia, dove si ferma poi per un anno accolto dai microfoni nazionali di Radio Atene con un quintetto di sax, tromba, contrabbasso e batteria. Era il 1966. Smoking bianchi, la dolce vita italiana, John Foster, Pino Donaggio, e perfino Orietta Berti e Peppino Di Capri, poi Pippo Baudo, non ancora mito nazional popolare, in una lettera del 1958 in cui chiede a Gianni di poter lavorare nel suo locale.

Dal pop al jazz, la storia di Gianni è segnata dal ritmo americano, di cui è una delle colonne portanti. “Un nero travestito da bianco”, “Un dilettante di lusso”, lo hanno definito i suoi colleghi e i giornali. Gianni si è sempre sentito un dialettante, parola che non tradisce il suo pudore e la riservatezza, ed è proprio per questo che suona bene. Nella prima metà degli anni ’50 si interessa al jazz tradizionale, per passare poi nella seconda a suonare con Claudio Lo Cascio ed Enzo Randisi, altro storico musicista palermitano, in alcuni storici gruppi jazz siciliani, come il New Jazz Quartet e la New Jazz Society. Nel 1974 arriva la collaborazione con Romano Mussolini, figlio di Benito, pianista, in un concerto a Ragusa. Erano gli anni del proibizionismo della musica americana in Italia. “Io e Gianni suoniamo il jazz da quando eravamo piccoli”, dichiara Mussolini. Una grande risata accompagna la risposta di Gianni “E tuo padre cosa diceva, visto che aveva impedito di suonare il jazz?”. “Io mi diverto tanto a suonare con Romano Mussolini”, avrebbe dichiarato Gianni, “perché c’è aria di libertà”.

Le prime suggestioni jazz arrivano a Gianni, da Frank Sinatra, e da maestri della batteria come Art Blakey, Kenny Clarke, Max Roach e Philly Joe Jones. Dall’inizio degli anni ’60 la sua attività jazzistica si fa più intensa con collaborazioni accanto a nomi di prestigio, rafforzandosi poi negli anni ’70 con la musica nei club. Gianni è uno dei soci fondatori del Brass Group, insieme a Ignazio Garsia. Era il 1974. Il batterista diventa anche perno della ritmica dello storico jazz club palermitano in via Duca della Verdura. Un elenco di musicisti si è avvalso della sua scansione ritmica, Stephane Grappelli, che segna il suo primo incontro con un artista straniero, Chet Baker, che gli ha insegnato a scandire non solo il ritmo ma anche il silenzio, Pepper Adams, il più gentile, Tony Scott, il più imprevedibile. Nel 2018 Gianni avrebbe ricevuto una targa a Salemi, in onore al musicista originario della città trapanese, e poi Lou Bennett, Jacques Pelzer, Art Farmer, Gato Barbieri, sassofonista tenore argentino che si è avvicinato molto allo stile incisivo di Gianni, e al suo modo di suonare. Altre collaborazioni lo vedono a fianco di Charlie Bill, pianista di Armstrong, Joe Albani, pianista di Charlie Parker e Mal Waldron, il pianista di John Coltrane.

“Un episodio memorabile è quello con il sassofonista Jhonny Griffin, in uno scambio inarrestabile tête à tête di otto battute di sax e otto di batteria”, racconta Gianni. Poi gli anni ’80, in cui si dedica alla strutturazione di gruppi propri svolgendo anche una preziosa di attività di training per un gran numero di musicisti siciliani, che nella sua energia, versatilità e leadership trovano gli stimoli e la motivazione giusta per appassionarsi e acquisire le basi del jazz. Un pò come per i Jazz Messengers del grande batterista nero Art Blakey. Musicisti come il contrabbassista siciliano Riccardo Lo Bue, sono passati sotto le ali di Gianni, suonando con All Grey, trombonista di Count Basie, e David Schnitter, sassofonista dello stesso Art Blakey. “Mi definisco un batterista hard bop – conclude – la sfumatura più moderna del jazz”, un genere con cui si esibirà sabato 8 giugno al Tatum Art di Palermo, insieme a degli schizzi di bossa nova. Quindi cos’è la musica per Gianni, in particolare il tamburo? “È il cuore pulsante della frase musicale, il crocevia obbligato delle trame improvvisative, la clessidra mutevole di un fluire temporale che inventa il proprio scorrere attimo dopo attimo, la bussola, la mappa di una rotta gridata, o anche solo suggerita, ai compagni di viaggio”.