Giornali. Quel che resta della scampagnata di Taormina

Caro direttore, sono assiduo lettore del suo irriverentissimo quotidiano, l’unico che pone questioni e dice il contrario di quello che tutti gli altri ripetono in coro.  Tanto mi sono appassionato dell’arte di capire cosa veramente succede dietro le quinte che mi è venuto il capriccio di diventare un poco giornalista anch’io. Magari col tempo e con la paglia avrei potuto maturare l’iscrizione all’albo. Per scrivere senza ambizioni, per carità. Per mia fortuna un lavoro vero ce l’ho già. Così sono andato a vedere che si diceva a Taormina dove si celebravano gli “Stati generali della Parola, dell’Informazione e dell’Editoria” organizzati dall’Ordine dei giornalisti di Sicilia, da quello nazionale e dalla Fondazione Taormina Arte.

Occasione d’oro. Quanti giornalisti a portata di mano. Quanti problemi a portata di soluzione. In programma criticità di vertenze annose e prospettive oltre la crisi, nuove categorie professionali e sfide dell’informazione. Già pregustavo la possibilità di ascoltare in diretta il digrignare dei cani di guardia della democrazia. Tanto ne parlano e la sbandierano che ci avevo creduto, con l’Italia che precipita sempre di più nelle classifiche mondiali della libertà di stampa.

Ma bisognava vederli in azione questi giornalisti accucciati al venticello caldo del potere a Taormina, nella roccaforte diventata bellissima di Balilla o Bulli o come li chiama lei. A me parevano canuzzi domestici. L’ha presente quando si mettono pancia all’aria davanti al padrone che magari ci tira una carezza o uno sguardo di considerazione? Magari mi sbaglio, lei mi saprà dire.

Lo so, non è giusto sparare nel mucchio e chiamarli “giornalai” come si usa adesso. Ce n’è che si sbracciano da mane a sera con onestà e dignità pure per “Quattro centesimi a riga” come ha declamato il cuntastorie Salvo Piparo.

Ma sul palco di Taormina si declinavano chiacchiere e tabacchiere di legno. “Cercare notizie, essere curiosi, verificare le fonti, tornare alle inchieste, pubblicare ciò che è certo”. Decaloghi sperti elaborati da chi non ha mai nuotato controcorrente, ma vanta curriculum stellari nelle prove di galleggiamento. Per Bruno Vespa l’approdo era “l’editore di riferimento”, ma erano altri tempi, altra stabilità.

Adesso è tutto fluido e si usa l’uni-trino, una gamba di qua nell’ordine e nella disciplina, l’altra di là a scrivere libri ovviamente al servizio della categoria e la terza in qualcos’altro perché ogni fegatino di mosca è sostanza. Vedi il Corecom, quell’ente “ignoto a se stesso, ignaro dei suoi lineamenti” come nella poesia di Paul Valery. Però quanto omaggiato a Taormina. Pare che serva a controllare la par condicio dei mezzi di comunicazione in periodo elettorale. Firma convenzioni, fa cose, vede gente. All’ombra della politica garantisce ai componenti stipendiucci niente male.

Da questa parte della Sicilia ci sono le elezioni a giorni. Le regole dettate dall’Ordine sono chiare: “Il giornalista che sceglie o accetta di svolgere il ruolo di addetto stampa per un candidato alle elezioni sospende la sua attività di giornalista presso testate giornalistiche o comunque interrompe la scrittura di articoli di politica elettorale”. Speriamo che non finisce come l’anno scorso che c’era in mezzo perfino il reuccio del sindacato. Cateno De Luca ancora si lamenta.

Alla fine la migliore comparsa l’ha fatta la padrona di casa, la sovraintendente di Tao Arte nominata un anno fa da un ex assessore al Turismo della Regione siciliana, quello che lei, direttore, chiama sempre amorevolmente “Balilla”, quello tanto prodigo con gli amici del settore “Stampa e comunicazione” quanto parco nel fornire informazioni sui destinatari di tutto questo concreto affetto. A proposito come finì l’Affaire Cannes, milioni di euro finiti sul red carpet con giornalisti al seguito? Il suo tambureggiare alle porte dell’Ordine della Sicilia ha avuto risposta?

Ester Bonafede ha accolto i giornalisti certa di cogliere simboli, idee e proposte. “Taormina e l’intera Sicilia si offrono come soggetto che vuole interpretare bisogni che attraverso l’Ordine dei giornalisti la società vuole veicolare. La cultura è alla base di ogni manifestazione dell’uomo. Noi siamo al servizio della cultura, come lo siamo della verità, che è una parola bellissima”. Oriana Fallaci diceva che “la verità è sempre il contrario di ciò che viene detto”. Può essere che il fatto è uno e il discorso un altro?

Rimango in attesa di una sua cortese risposta. Saluti. Suo Candido.

Candido S. Carassio :

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