Sono trascorsi quindici anni dalla morte – precoce – di Giuni Russo. Una delle voci più belle della musica italiana. E’ notizia di questi giorni che il comune di Catania le abbia dedicato uno slargo a pochi metri dal lungomare. Fa sorridere, forse con una punta d’amarezza, che a pensarci sia stata Catania e non Palermo, la città natale della cantante. Che nel 2012, per la verità, le aveva intitolato un crocevia a due passi da via Principe di Scalea, provocando le ire dell’associazione “Giuni Russo Arte” e della compagna di una vita Maria Antonietta Sisini: era poco rispettoso. Così l’amministrazione Orlando fu costretta a fare un passo indietro e cancellare il nome dalla segnaletica.

Giuni se n’è andata al termine di una lunga battaglia con la malattia, che però non ne le aveva impedito di portare avanti il suo lavoro fino in fondo. L’ultima partecipazione al Festival di Sanremo, con “Morirò d’amore”, risale al 2003 (si classificò al settimo posto, ma fu premiata per il miglior arrangiamento). Aveva già perso i capelli, ma non c’era alcun motivo di nascondere le calvizie. La Russo, resa celebre da alcuni tormentoni come “Un’estate al mare” (scritta con Franco Battiato) e “Alghero”, è stata una grande interprete e una donna sempre in guerra, come l’ha definita di recente Rolling Stones: “contro l’omologazione e le major, i giudizi e la malattia. La sua energia e la sua rabbia sono stati un ciclone che non tutti potevano capire né accettare”.

Le infinite capacità vocali le hanno permesso di spaziare tra più generi: dalla canzonetta estiva al pop, dal rock alla new wave. Non c’era brano che non rientrasse nelle sue corde. La sua carriera comincia dalla vittoria del Festival di Castrocaro, con “A chi” (di Fausto Leali), nel 1969. Al primo Sanremo, nel ’68, partecipa con il nome di Giusy Romeo, il diminutivo di Giuseppina Romeo (per l’anagrafe). Si trasferisce a Milano l’anno successivo, dove per 36 anni vivrà insieme alla compagna Maria Antonietta, che oggi conserva la sua infinita eredità artistica. Giuni, da qui il giudizio di Rolling Stones, ha dovuto lottare a lungo contro le case discografiche, che avrebbero voluto indirizzarla al genere commerciale, limitandone le grandi doti canore, che in “Un’estate al mare” le permisero di esprimersi sulle tonalità di un gabbiano. Con questo singolo rimase in vetta alle classifiche per otto mesi, dopo aver conquistato il Festivalbar. Oggi qualcuno se n’è ricordato. E’ già bello così.