I più grandi scandali siciliani, quanto meno dell’ultimo decennio, sono destinati a rimanere impuniti. Si è capito qualche giorno fa, quando per l’ex manager della comunicazione, al secolo Faustino Giachetto, autore di una truffa all’Unione Europea per 15 milioni di euro, è scattata una sentenza di non luogo a procedere a causa della prescrizione dei reati contestati (fra cui la turbativa d’asta e la turbata libertà degli incanti, oltre alla truffa). Giachetto è stato il principale interprete dell’inchiesta sui Grandi Eventi organizzati dalla Regione fra il 2010 e il 2011, che si rivelerà solo un affluente del mega scandalo del Ciapi, un ente di formazione che il project manager ha “spremuto” fino all’intervento di finanzieri e magistrati.

Ma un tema che va molto d’attualità, tranne che nelle aule di giustizia, è quello del censimento “fantasma” del patrimonio immobiliare della Regione siciliana, affidato durante il governo Cuffaro a una cordata d’avventurieri guidati dal piemontese Ezio Bigotti. Che non solo avrebbero lasciato il lavoro a metà e per lunghi anni “secretato” da una password, ma – fattura dopo fattura – avrebbero gonfiato i costi dell’operazione fino a 110 milioni di euro, e trasferito i soldi nei paradisi fiscali. Come sia stato possibile, è ancora un mistero. La Corte dei Conti ha archiviato la pratica per un cavillo di giurisdizione, mentre i reati penali risultano già prescritti. E al netto di ulteriori approfondimenti da parte della commissione antimafia, la questione rimarrà lettera morta.

Peccato. La Sicilia avrebbe avuto l’ennesima possibilità di redimersi, invece s’è arresa. Prendete Giachetto. Nell’ormai lontano 2012 la Procura di Palermo scopre un giro di mazzette per aggiudicare appalti che riguardano dodici grandi eventi: ci sono dentro il festino di Santa Rosalia a Palermo, alcuni appuntamenti sportivi come la settimana tricolore di ciclismo e il “Sicilian Ladies Open Golf” di Sciacca, e il Taormina Fashion Award. E persino una gara per aggiudicare i servizi in occasione della visita di Papa Ratzinger a Palermo. E’ qui che scatta la miccia, dalla denuncia di uno degli imprenditori esclusi. Si chiama Benedetto Pasca, e consiglia di guardare i verbali d’aggiudicazione dell’appalto, da cui emergevano costi gonfiati del 300%. Faustino Giachetto è il trait d’union tra la Regione che bandiva le gare e gli imprenditori che se le aggiudicavano.

Ma scavando a fondo, si sviluppa un’altra tranche dell’inchiesta: quella che vede Giachetto prima coinvolto, e poi condannato a otto anni in primo grado, per la mega truffa ai danni dell’Unione Europea. Il manager di Canicattì era un grosso esperto di reperimento dei fondi comunitari. I 15 milioni di finanziamento che il Ciapi avrebbe dovuto usare per le sue campagne di comunicazione, e trovare un posto di lavoro a 1.500 giovani siciliani (di cui soltanto 14 ebbero un contratto), Giachetto li utilizzava per farci viaggi, comprarsi orologi e, più in generale, per arricchirsi.

Ma anche per corromperci politici e funzionari regionali, che sarebbero stati il motore dell’altro pezzo dell’inchiesta: quella relativa al pilotaggio delle gare d’appalto dei Grandi Eventi, da cui il manager è uscito intonso. Spremendo il Ciapi come fosse un bancomat, secondo le tesi accusatorie Giachetto avrebbe oliato la macchina amministrativa e burocratica della Regione, che elargiva in cambio finanziamenti e appalti. Il “metodo Giachetto”. Oltre a una condanna in primo grado a otto anni, nel luglio 2018 Giachetto è stato raggiunto da una confisca di appartamenti, società e conti correnti bancari per il valore di circa settanta milioni di euro. Nei veri processi che l’anno coinvolto – Giachetto è stato condannato pure a tre anni per violazioni fiscali e false fatturazioni – erano stati coinvolti alcuni politici che man mano, grazie alla prescrizione, hanno abbandonato l’agone giudiziario. Mentre, fra gli ultimi destinatari della sentenza di non luogo a procedere da parte del Gup di Catania Luigi Barone, ci sono anche una serie di imprenditori e funzionari regionali che ne escono impuniti.

Impossibile far luce su un mistero così grosso, specie quando i tempi della giustizia giocano contro. Così come si è rivelato difficile, a tratti quasi sconsigliato, far emergere le responsabilità politiche dello scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare e del censimento di cui Buttanissima si è occupata, anche di recente. Centinaia di milioni di euro andati in fumo – nel contratto non esisteva un tetto di spesa e questo di per sé è anomalo – per un lavoro che nessuno ha mai visto né letto, a causa di un contenzioso aperto fra la Regione siciliana e la società di Ezio Bigotti. Contenzioso innescato dall’intervento di Gaetano Armao – in passato fu consulente dello stesso Bigotti – che nel 201o, da assessore all’Economia del governo Lombardo, stoppò i pagamenti alla Spi. Solo di recente è stata ritrovata dagli uffici dell’assessorato all’Economia la password “amministratore” per accedere ai server. L’operazione, però, non ha dato riscontri utili: i dati, fermi a dieci anni fa, sono inutilizzabili. E l’Ente non conosce l’effettivo valore del suo patrimonio. Questo è un guaio anche per la Corte dei Conti, che ha tirato le orecchie al governo e in tempi non sospetti aveva chiesto di ripetere la ricognizione.

Un film tragicomico, su cui non scorreranno mai i titoli di coda. Bigotti, che nel frattempo sta scontando i domiciliari per un caso di corruzione (è stato implicato nel sistema Siracusa e nel caso delle sentenze truccate al Consiglio di Stato), non ha mai fornito risposto sull’entità di quel lavoro, né sul motivo che ha visto accrescere in maniera spropositata i suoi guadagni. Forse non gliel’hanno mai chiesto. Tanto meno sulla destinazione finale dei soldi (molte delle sue società portano in Lussemburgo, un paradiso fiscale) e sulla eventuale compartecipazione di qualche forza politica, anche del Nord, al sistema tangentizio che un incarico di simile portata, lasciato colpevolmente in mano a dei privati, può aver alimentato. Esistono mille domande e nessuna risposta. Addirittura peggio del “metodo Giachetto”. E’ come se il sistema degli scandali siciliani fosse collaudato da sempre: il lieto fine è solo per gli avventurieri.