Da quando giovedì scorso è stato depositato all’Ars il documento di istituzione di “Ora Sicilia”, l’ultimo di dieci gruppi parlamentari, composto da Genovese, Ternullo e Lantieri, nessuno nel governo – ad eccezione dell’assessore Ruggero Razza – ha aperto bocca. Nessuno per dire “bravi, siete i benvenuti”. Zero. Nello Musumeci, come è solito fare, si è trincerato nel silenzio. Impegnato com’è nella semina, non ha raccolto nemmeno le provocazioni di chi ha visto in questo “spostamento” l’apertura del mercato delle vacche (dai centristi al Pd). Non ha fiatato il governatore, e forse ne ha ben d’onde. Perché sulla famiglia Genovese, senza i cui voti difficilmente avrebbe vinto le elezioni a novembre di due anni fa (Luigino raccolse 17 mila preferenze), lui un giudizio l’aveva espresso, e risale alla vigilia delle Regionali. Senza tirare dentro Luigino, ragazzo ben educato e senza macchia, Musumeci – che i 5 Stelle avevano crocifisso per la questione degli “impresentabili” – si era limitato a dire che non trovava opportuna la sua candidatura e che al posto di suo padre non gliel’avrebbe consentito. E, ancora, il governatore decise di addossare le responsabilità a Gianfranco Miccichè, che gli aveva spalancato le porte di Forza Italia, lo stesso partito di papà Francantonio (dopo l’addio al Pd).

Dopo un anno e mezzo, però, Luigino ha cambiato “padrino”. Stop a Micciché (“Forza Italia non sa guardare al futuro” ha detto Genovese), ecco Musumeci. Che questo “figliastro”, però, non l’ha ancora riconosciuto pubblicamente. Ci ha parlato – c’è la conferma del ragazzo – e hanno studiato insieme l’operazione. Gli tornerà certamente utile in aula, dove la maggioranza guadagna un voto, quello della Lantieri, ma anche in prospettiva, dato che Genovese jr va a finire nel contenitore che Musumeci utilizzerà per legarsi a Salvini alle prossime Politiche (“Ci penso io a farlo vincere al Sud” ha detto di recente il governatore). Non è un caso che il battesimo sia avvenuto il 15 giugno in piazza Verdi, a Palermo, da dove Musumeci lanciava la fase-2 di Diventerà Bellissima, che prevede una federazione con la Lega a livello nazionale.

E non è un caso che la famiglia Genovese un apparentamento col Carroccio lo abbia già tentato alle Europee, sostenendo in massa – ma senza riuscire a farlo eleggere – il catanese Angelo Attaguile. Un amico di famiglia, si diceva, ma anche il primo leghista di Sicilia, che Salvini ha voluto in lista personalmente. All’indomani dell’operazione andata male (Attaguile è finito 7°), tutti, a partire da Candiani, ne hanno preso le distanze. Il commissario del Carroccio in Sicilia ha ribadito che l’accostamento ai Genovese era stato motivo d’imbarazzo e che mai e poi mai si sarebbero presentate le condizioni per accogliere nel quadro dirigente della Lega una famiglia dal passato così impolverato. Concetto ribadito all’indomani della formazione del nuovo gruppo parlamentare: “Noi col figlio di Genovese non c’abbiamo nulla a che fare – ha detto Candiani – Sono sconcertato da come la gente passi da una parte all’altra tradendo il vincolo con gli elettori”. Anche la Lega, insomma, sembra aver scaricato il rampollo del ras di Messina.

Francantonio Genovese, che ha già provato l’esperienza del carcere, è stato condannato in primo grado a 11 anni per lo scandalo della Formazione professionale. Lo stesso Luigi, pochi giorni dopo l’elezione all’Ars, assieme al padre è finito in un’inchiesta per evasione fiscale. Ecco, la politica dell’onestà, forse, presupporrebbe una reazione diversa dal silenzio. Il “salto della quaglia” di Genovese, sul piano morale ed etico, conta più di quello di Ternullo o Lantieri, e per questo necessiterebbe di un commento, anche minimo. Ma per ora non se ne parla. Imbarazzo o nonchalance? Ai silenzi il governatore ci ha abituato nel corso di questa legislatura: ad esempio – strano scherzo del destino – sulla questione morale. Per spiccicare una parola e qualche insulto, stimolato dal solito pressapochismo grillino, c’è voluto il dibattito parlamentare all’Ars di un paio di settimane fa.

E poi, sempre a proposito di silenzio, come leggere quello relativo ai nuovi assessori? I Beni Culturali sono vacanti da mesi, da quando Sebastiano Tusa, buon’anima, si schiantò nei cieli di Addis Abeba. Soltanto i suoi occhiali, un’opera del maestro Gentile, sono rimasti a vegliare di fronte alla Cappella Palatina. Anche il Turismo è rimasto senza un legittimo proprietario, da quando Sandro Pappalardo ha deciso di accettare la corte dell’Enit. Perché le nuove nomine siano rimaste impantanate, non è dato sapersi. La prima, verosimilmente, richiede tempi più lunghi (ma la scrematura dei candidati va avanti da settimane e Musumeci sembrava avere le idee chiare). La seconda no. Fratelli d’Italia, il partito a cui compete, ha già indicato Manlio Messina. E poi c’è un’altra questione, quella legata a Gaetano Armao. Di cui Forza Italia chiede a gran voce la rimozione. Ma Musumeci non ci sente. Per ottenere qualcosa, il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, che è anche coordinatore azzurro nell’Isola, ha chiesto un incontro fra il governatore e Silvio Berlusconi. E sbloccare un’impasse che rischia di trasformarsi nell’ennesima successione farraginosa, che sottrae tempo all’ordinaria amministrazione.

Il silenzio su Genovese, però, è quello che fa più rumore. Musumeci, che aveva scelto di affrancarsi da scelte “puzzolenti”, ha convinto il giovanotto a fare un investimento per il futuro. Lo ha spiegato lo stesso Luigino, dalle colonne di Live Sicilia: “Il nostro obiettivo non è crescere in numero, ma come unione di intenti. Se qualcuno ci sta, lo sfondo è chiaro: è Nello Musumeci”. Non ci sarebbero assessorati in ballo (“Ma se un giorno il governatore volesse premiare il nostro impegno, non ci sottrarremo” ha fatto sapere Genovese), ma un’alleanza con la Lega, quella sì. Parlare di terza gamba è prematuro. Ma che il legame fra Musumeci e Genovese diventi indissolubile sta nei fatti. O qualcuno pensa davvero sia un mercato delle vacche come un altro?