Oggi è così, domani chissà. Avremo pure il diritto di non impazzire, per citare il Sottile di qualche giorno fa su Buttanissima, oppure no? Il 16 gennaio entrerà in vigore il nuovo Dpcm. Con regole nuove rispetto a quelle già conosciute (mai fino in fondo). Che andranno, fra l’altro, ad accavallarsi alle norme di carattere regionale, e perché no, alle decisioni di singoli sindaci, come avviene già. In questo fiume di divieti è sempre più difficile orientarsi, capire, cogliere il senso. L’unico pannicello caldo è il vaccino, per chi avrà la possibilità di ottenerlo a breve. Per il resto è una lotteria.

SCUOLA – Nessuno gestisce più il caos della scuola, dal momento che anche il ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha fatto trapelare il proprio dissenso per le decisioni del Pd prima – che ha postergato il ritorno in classe di una settimana – e dei governatori poi: sedici regioni hanno deciso di far slittare la didattica in presenza alle superiori. E con la terza ondata in corso, fare previsioni è impossibile. La Azzolina, che sta chiaramente all’opposizione del proprio governo, si è schierata, invece, al fianco degli studenti dopo lo sciopero proclamato lunedì: “Nelle regioni a fascia gialla – ha osservato la grillina – tutto è aperto tranne la scuola superiore e questo creerà profonde cicatrici, i ragazzi hanno bisogno di sfogare la propria socialità”. Ma se il ministro vivesse in Sicilia, ad Agrigento, saprebbe che il neo sindaco Franco Miccichè, oltre a non mandare in classe gli studenti di elementari e medie (come stabilito nell’ultima ordinanza di Musumeci), ha sbarrato l’ingresso di asili nidi e scuole dell’infanzia. L’istruzione s’è fermata per l’impennarsi dei contagi. E poco importa che in via Atenea sia consentito lo shopping, sebbene con qualche accorgimento. Anche in due città simbolo come Messina e Gerla, diventate “zona rossa” da poche ore, sono state sospese le attività didattiche e scolastiche di ogni ordine e grado.

Ritrovare un briciolo di coerenza nelle decisioni dei governi è impossibile. L’assessore Lagalla è stato per lunghi tratti sostenitore della riapertura. Ha mostrato al Comitato tecnico-scientifico e alla task force, alcuni dati che dimostrassero come in classe non si sviluppino focolai, come le scuole siano effettivamente sicure. Ma alla fine ha dovuto ingoiare il rospo. Che prevede: la riapertura immediata degli asili, e la riapertura di medie ed elementari da lunedì prossimo. Forse. Perché non è chiaro come la situazione possa mutare in meglio. Cosa volete che cambi in una settimana, per fare in modo che si determinino nuove condizioni e che, in base a queste, si possa realmente tornare in classe? E’ possibile – ma non è ancora dato saperlo – che prosegua invece l’odiatissima didattica a distanza, quella che secondo la Azzolina non funziona più. Licei e istituti tecnico-professionali, le superiori insomma, la “frequentano” già da novembre. E rimarranno a casa fino al 31 gennaio (almeno). Ma il quadro epidemiologico è in evoluzione, e ciò che si è detto ieri potrebbe non valere domani. Non fai in tempo a dire “arancione” che già siamo a un passo dal “rosso”.

BAR E RISTORANTI – La tragedia vera è non sapere cosa ci riserva il futuro. Gli esercizi commerciali, durante il periodo della festività, hanno subito un’alternanza di colori e di clientela senza alcuna logica. Ma dietro il lavoro degli esercizi pubblici, non c’è soltanto il tema del caffè al banco.  Bensì il destino di numerosi imprenditori. Molti, pur garantendo le aperture, non hanno potuto fare a meno di applicare ai propri dipendenti la cassa integrazione. Esiste, per fortuna, il blocco dei licenziamenti fino al 31 marzo, altrimenti sarebbe stata un’ecatombe. Ma parecchi lavoratori (fanno parte della lista commessi, camerieri, lavapiatti e così via) vivono di ammortizzatori sociali, cioè di un compenso residuale rispetto allo stipendio-base. E se il caffè al banco può quasi sembrare un vezzo, o un capriccio nella peggiore delle ipotesi, il tema del sostentamento non lo è.

In Sicilia, che da lunedì è zona arancione, bar e ristoranti, pizzerie e pasticcerie, sono rimasti aperti fino alle 18 solo nelle giornate del 7 e 8 gennaio. Poi hanno ripreso con l’asporto e le consegne a domicilio. Ma a partire da domenica prossima, come paventato dal Dpcm in fase di elaborazione, l’asporto potrebbe terminare alle 18, e non più alle 22. Allo scopo di ridurre gli assembramenti per le vie delle città già deserte (ad eccezione dei grandi centri). Eppure, a voler approfondire la questione, ti accorgi che la terza ondata non è stata generata dalle attività del settore Ho.Re.Ca. (hotelerie-restaurant-cafè) che durante le festività natalizie non hanno battuto ciglio, restando ferme. Bensì dalle riunioni semi-clandestine per cenoni o veglioni, che gli italiani e i siciliani hanno organizzato a casa loro.  In zona arancione anche i centri commerciali rimarranno chiusi nel weekend (tecnicamente, nei giorni festivi e prefestivi), ad eccezione dei negozi come farmacia, parafarmacie, generi alimentari, a cui verrà concessa una deroga. Così come i tabacchini.

Il comparto ricettivo e della ristorazione ha avuto dalla Regione dieci milioni di euro, appena raddoppiati con uno stanziamento aggiuntivo da parte dell’Irfis. Mentre il governo nazionale vede e provvede con investimenti che paiono smisurati ma non soddisfano tutti. L’ultimo è stato annunciato dalla siciliana Marialucia Lorefice, presidente della commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati: “Con gli ultimi bonifici automatici da 628 milioni di euro, sono stati inviati tutti i contributi previsti dal Decreto Natale – ha detto l’esponente del Movimento 5 Stelle – Sui conti correnti dei titolari di partita Iva interessati, come ristoranti e pasticcerie, arriveranno direttamente i ristori previsti. Insieme alle misure già stanziate dai decreti Rilancio, Agosto, Ristori 1-4 e Natale abbiamo erogato oltre 10 miliardi di euro”.

SPOSTAMENTI FRA COMUNI – Col prossimo decreto del presidente del Consiglio, verrà del tutto annientata, invece, la possibilità di spostamento fra regioni. Comprese quelle in giallo. Mentre in Sicilia, che è e resterà arancione (ma presto, di questo passo, potremo ambire al rosso), è già vietato spostarsi da un comune all’altro, tranne che per motivi di lavoro, salute o necessità. Nelle zone a rischio medio, come la nostra, è consentita una sola deroga: riguarda i comuni con meno di 5 mila abitanti, da cui si può spostare (ma rimanendo nel raggio di 30 chilometri). E, volendo, la possibilità di una visita a casa di parenti e amici: ma per un massimo di due persone, e una sola volta al giorno (mai, però, al di fuori del proprio comune).

Uno spostamento consentito, invece, rimarrà quello legato allo sport e all’attività motoria. Fermo restando che lo sport (è contemplata anche la corsa) si potrà svolgere in forma individuale, e comunque all’interno del proprio comune, mentre l’attività motoria, cioè la camminata, solo nei pressi della propria abitazione. Ma non è obbligatorio, almeno qui, avere un animale domestico al guinzaglio. C’è anche il tema del trasporto pubblico: i mezzi hanno una capienza massima del 50%. Mentre arrivare in Sicilia risulterà sempre più difficile, nonostante la garanzia del rientro al proprio domicilio. Nell’ultima ordinanza Musumeci ha previsto la riduzione dei voli da e per la Sicilia. Alitalia ha colto la palla al balzo, tagliando diciassette voli a settimana all’aeroporto di Comiso.

LE ZONE ROSSE – Queste regole di carattere generale, che già così provocano il mal di testa, potrebbero non valere per tutti. In pochi giorni, infatti, sei comuni sono diventati “zona rossa”: tra questi un capoluogo di provincia, Messina, e Gela, equipollente a un capoluogo. Da queste parti tutte le regole che valgono altrove risultano sospese: è disposto, ad esempio, il divieto di circolare, a piedi o con qualsiasi mezzo pubblico o privato, ad eccezione di comprovate esigenze di lavoro, per l’acquisto di generi alimentari e beni di prima necessità, per ragioni di natura sanitaria, per stato di necessità imprevisto e non procrastinabile o per usufruire di servizi o attività non sospese. Sono sospese tutte le attività, eccetto quelle per la vendita di generi alimentari o di prima necessità. E bisognerà osservare due o tre settimane di “riposo forzate”, finché i numeri non rientreranno.

VACCINI DI MASSA – L’unica speranza del momento è legata ai vaccini. Ma come Buttanissima ha avuto modo di documentare nei giorni scorsi, anche in questo ambito si gioca a mosca cieca. L’assenza di criteri chiari e uniformi, ha generato qualche bug nel sistema: che significa somministrare il siero a persone che non hanno diritto, sacrificando qualcuno a cui spetterebbe subito. Alcune regioni, come la Campania, sono andate a un passo dall’esaurire le dosi, ma il nuovo stock è arrivato ieri, anche per la Sicilia. Eppure, terminata questa prima fase (141 mila dosi garantite per l’Isola) come sarà possibile andare avanti? Quanto ancora bisognerà aspettare per i vaccini di Astrazeneca? Quelli su piazza saranno abbastanza per far procedere la campagna di immunizzazione? E soprattutto, nel momento in cui la somministrazione dovrebbe spostarsi dagli ospedali al territorio, saremo in grado di garantire il rispetto delle procedure e lo spauracchio di un mercato “nero” parallelo? L’unico modo per sopravvivere a questi dannati interrogativi è armarsi di pazienza. Ma il rischio è davvero quello di impazzire.