Alcuni numeri sono da far tremare i polsi: se davvero, come si teme, l’Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico) dovesse cancellare le 55 repliche in programma al Teatro Greco di Siracusa nel 2020, salterebbero per aria più di 30 milioni di indotto. Nell’ultimo anno, secondo le stime dell’associazione “Noi albergatori”, consegnate nei giorni scorsi all’Ars, sono stati 36. Dallo sbigliettamento, l’Inda ha introitato circa 3,8 milioni, di cui lo 0,5% – da contratto – è stato garantito al Parco della Neapolis, uno degli enti culturali e archeologici che incassa di più in Sicilia: poco sotto i cinque milioni di euro nel 2019.

Le sorti di Parco e Istituto procedono a braccetto. Ma qualcosa negli ultimi tempi si è incrinato. Il sovrintendente Calogero Rizzuto, rimettendo mano a una convenzione scaduta del 2013, ma che si trascina di proroga in proroga, ha deciso che l’Inda fa troppo poco per il Parco, così ha scelto di triplicare gli affitti: passando dalle canoniche 50 mila euro annuali, a 150 mila, più il 3% dei biglietti venduti (la stima è di 120 mila euro). Dallo 0,5% al 3%, la stessa tariffa applicata ai privati. Solo che l’Inda è un ente a controllo pubblico, cui concorrono il Ministero dei Beni culturali, il comune di Siracusa e la Regione Siciliana. Antonio Calvi, il sovrintendente dell’istituto a rischio sfratto, sostiene che sono troppi soldi: l’Inda, che ha libro paga circa 500 maestranze durante la stagione degli spettacoli, rischia di non raggiungere l’equilibrio di bilancio.

Ogni tentativo di mediazione, fin qui, è andato in fumo. La Regione ha recitato il ruolo dello spettatore, finché una mattina (sabato scorso) il presidente Musumeci s’è ricordato di essere l’assessore ai Beni culturali in pectore e ha messo tutti in riga: “Basta litigi. Ho deciso di avocare a me la vicenda della mancata intesa tra l’Inda e il Parco archeologico di Siracusa. Speravo che in sede locale si riuscisse a trovare una soluzione, con il buon senso di tutti. E invece ho colto solo perdita di tempo e volgari speculazioni da parte di qualche politico depresso, alla vana ricerca di visibilità. La prossima settimana (questa, cioè) incontrerò in presidenza i vertici dei due enti e concluderemo solo dopo aver trovato la soluzione. Il dramma antico è patrimonio universale che va tutelato e rilanciato”.

Parole sante, se non fosse che i Beni culturali siciliani, ormai da mesi senza una guida certa – coi dirigenti che fanno le veci del presidente-assessore – rischiano davvero il tracollo. E in questo scenario che nessuno esita a definire infausto, la questione del Teatro Greco capita a fagiuolo. Una tradizione millenaria che piccole ripicche di bottega rischiano di far svanire per sempre. L’Inda ormai da 104 anni si occupa di organizzare la stagione teatrale a Siracusa, e se non fosse per l’Inda, Siracusa e tutta Italia non avrebbero mai assistito all’ultima rappresentazione in vita del maestro Camilleri, la “Conversazione su Tiresia” (a giugno 2018). Il budget a sua disposizione, circa 6 milioni di euro, è già stato ritagliato altrove: l’assessorato regionale al Turismo, ad esempio, contribuisce “solo” per 500 mila euro l’anno, la metà della dotazione del Ministero dei Beni culturali (oggi guidato dal “dem” Dario Franceschini). Mentre il Furs, il fondo unico regionale per gli spettacoli, mette in palio ogni anno 100 mila euro. Un ottavo di quanto serva a montare e smontare la cavea all’inizio e alla fine della stagione.

Ma ciò che questa vicenda rivela, al di là del potenziale disastro economico, e alla cancellazione di un pezzo di storia della nostra Isola, è che l’assenza di governance in un settore così delicato come quello dei Beni culturali, rischia di far implodere il sistema dall’interno. Qualche giorno fa la quinta commissione dell’Ars, dove l’opposizione supera nei numeri la maggioranza, ha presentato una riforma complessiva del settore. L’opposizione, non la maggioranza. Dal governo non è arrivato un solo sussulto per mettere mano a un settore diventato pian piano vetusto, che necessita di nuova linfa. Tra le novità annunciate dalla riforma, anche la possibilità di mettere alla guida di parchi e musei dei manager “esterni”, come per le aziende sanitarie, la creazione del biglietto unico e gli incentivi per i giovani che scelgono di investire nella cultura.

Il presidente della V, il renziano Luca Sammartino, si è concentrato anche sul destino dei musei minori, che in Sicilia incassano una miseria rispetto ai grandi Parchi (oltre a Siracusa, guidano la classifica la Valle dei Templi e Taormina): “Abbiamo un patrimonio immenso che nessuno va a vedere – ha detto Sammartino a Repubblica – La Sicilia deve investire sulle bellezze architettoniche e monumentali, riconosciute dall’Unesco. Questa è una miniera per i giovani siciliani”.

Una miniera dove il governatore più operaio che la storia ricordi – Musumeci ha abbandonato i sogni e le promesse, in cambio della politica del “fare” – non ha più messo piede. A causa dei numerosi impegni istituzionali, infatti, il presidente-assessore non frequenta le audizioni in quinta commissione (sul caso del teatro Greco si è palesato al suo posto il capo di gabinetto) e sostanzialmente si prende cura dei tesori siciliani per interposta persona. Ogni tanto interviene per sottolineare i grandi risultati ottenuti – lo ha fatto di recente per l’istituzione degli ecomusei – ma non ha ancora la forza, né il coraggio, oppure è semplicemente mancata l’occasione, per nominare un assessore valido, che potesse garantire continuità al lavoro svolto da Sebastiano Tusa. L’archeologo è scomparso quasi un anno fa ad Addis Abeba, in seguito a una tragedia aerea. Ma il suo posto è rimasto vacante, occupato solo da buone intenzioni e qualche impennata d’orgoglio. I partiti si sono messi di traverso e Musumeci, un politico “non ricattabile”, fatica a dimenarsi nelle incertezze.

Una di esse riguarda i lavoratori del museo Mandralisca di Cefalù, con otto mesi di stipendio arretrato, a cui il governatore, nel novembre scorso, aveva promesso una soluzione: “Sono passati tre mesi e quell’aiuto economico è rimasto solo nelle sue intenzioni” ha fatto sapere il Cobas/Codir, che ora minaccia uno sciopero. L’ente museale della città araba normanna ha visto dimezzare il contributo della Regione (da 1,4 milioni a 700 mila euro) ed era stata a un passo della chiusura. Le risorse a disposizioni non bastano per pagare gli stipendi e garantire una gestione ordinaria.

Tornando a Siracusa, il Parco della Neapolis e l’Orecchio di Dionisio hanno fatto registrare nell’ultimo anno 680 mila ingressi (con un leggero decremento di diecimila unità rispetto al 2018). Mentre alle tragedie, ogni anno, assistono 150 mila spettatori. Come si fa a cancellare con un colpo di spugna tutto questo? Musumeci ha deciso che non è possibile, e interverrà in tal senso. Ma per mitigare i dubbi di quel mondo, che comincia a interrogarsi sul serio, sarebbe auspicabile intervenire alle radici. Il rimpasto è alle porte: mai come stavolta è necessario non sbagliare.