Una non bastava. Così sulla Finanziaria si è rovesciata un’altra pioggia di emendamenti: circa 700. Questo pomeriggio a Palazzo dei Normanni è cominciata la discussione sulla Legge di Stabilità, che vale circa 16,5 miliardi: si parte da 118 articoli (rispetto alla quindicina venuti fuori a dicembre dalla giunta) che “garantiscono l’equilibrio e favoriscono la ripresa”. Renato Schifani, intercettato alla vigilia, ha manifestato in maniera palese i propri intendimenti: “Una maratona che speriamo essere meno lunga e impegnativa di quelle del passato perché – ricorda il governatore – per la prima volta dopo tanti anni, avremo una Finanziaria approvata entro il 10 febbraio e questo ci consentirà di essere operativi da un punto di vista finanziario e di essere più operativi per la risoluzione dei problemi”.

Se i problemi fossero ridotti alla salvaguardia della razza equina sanfratellana, basterebbero 60 mila euro. Ma il Bilancio della Regione va ben oltre la proposta vidimata in commissione Bilancio. E che per altro vede l’accordo quasi totale fra tutti i partiti della maggioranza, e anche dell’opposizione. Le mance sono argomento scanzonato, utile a ricamarci su qualche comunicato stampa; che assegnano a tutti i deputati diritto di cittadinanza e d’esultanza: per le sagre, per i carnevali, per i fuochi d’artificio e gli anniversari. Sono lo strumento che, a meno di sorprese nel segreto dell’urna (Musumeci fu vittima parecchie volte dei ‘franchi tiratori’), garantirà a Schifani una sopravvivenza certa (politicamente parlando), una maggioranza unita e una minoranza più arrendevole e meno ostruzionista. Non sembrano esserci, d’altronde, temi troppo divisivi: persino sulle risorse destinate ai Forestali, ai Comuni e ai precari è stato costruito un margine d’intesa.

La vera prova del nove, però, verrà dopo. Questa è una Legge di Stabilità quasi transitoria rispetto alle tante questioni aperte. Che riguardano la Regione, ma anche il rapporto con la Corte dei Conti e, persino, con la Corte Costituzionale, che sarà tenuta a pronunciarsi sulla sospensiva del giudizio di parifica riferito all’ultimo rendiconto approvato (quello del 2020). Il 2 dicembre scorso, le Sezioni riunite della Corte dei Conti hanno scelto di soprassedere sulla parifica, in attesa di accertare la costituzionalità del decreto legislativo del 2019 che permetteva di spalmare in dieci anni il disavanzo con lo Stato. Ma è proprio da queste basi che è ripartita la discussione: cioè da un piano di rientro della spesa imposto dal “Salva Sicilia” – approvato con l’ultima Legge di Bilancio dello Stato – che ripropone esattamente lo stesso schema: risparmi annui dal 20 al 40% su determinate voci (dalla riorganizzazione della struttura amministrativa, passando per la razionalizzazione delle società partecipate). Per 1,7 miliardi complessivi fino al 2029. De Luca aveva chiesto di allegarne la tabella al Bilancio, cosa che in commissione non era avvenuta.

I termini del “Salva Sicilia”, per altro, allungano il tentativo di ripiano fino al 2032. E dovrebbe mettere la Regione al riparo da drammatici inconvenienti. Palazzo d’Orleans, dopo aver scelto deliberatamente di non congelare la cifra sotto inchiesta (866 milioni), è stata costretta ad accantonare l’ultimo e unico regalino concesso da Roma: cioè i 200 milioni di euro che il presidente Schifani ha ottenuto al tavolo con il ministro Giorgetti al MeF, in cambio della rinuncia a qualsiasi compensazione finanziaria prevista dalla legge n.296 del 2006 (quella che sancisce l’aumento della compartecipazione alla spesa sanitaria). La Regione non rivedrà gli 8 miliardi di retrocessione delle accise, come previsto da tre commi dalla norma originaria; mentre i 200 milioni ottenuti col sudore, ma senza coinvolgere il parlamento (“Schifani ha sbandato alla prima curava” era stato il commento laconico di Antonello Cracolici, del Pd), non saranno appostati in Finanziaria “per evitare – come ha spiegato Cateno De Luca – l’assalto alla diligenza da parte degli stessi deputati di maggioranza”. Andranno a copertura delle quote di disavanzo, e l’assalto c’è comunque stato.

In questi mesi roventi, vissuti sul filo dello scontro con la Corte dei Conti (sempre molto critica verso la gestione Armao) non c’è stato il tempo per approntare la famosa operazione-verità che sia Schifani che Falcone, alla vigilia dell’udienza di parifica, avevano preannunciato. “Sulla parifica – aveva detto il 7 dicembre il nuovo assessore all’Economia – faremo un focus: non vogliamo nascondere la polvere sotto il tappeto. Abbiamo sempre ribadito che questo Governo è in continuità con il precedente, ma questo non significa che se abbiamo sbattuto contro un muro, continueremo a farlo”. Eppure la prima mossa ufficiale ha portato a non tener conto della sospensiva, su cui l’esecutivo ha scelto di “sorvolare” chiedendo una sanatoria a Roma per continuare a spalmare il disavanzo in dieci anni (ma con una formula diversa).

Dalle decisioni assunte dalla Consulta, però, potrebbero arrivare conseguenze diverse, e forse peggiori, che al momento non appartengono al dibattito politico. Fanno più presa le misure assunte da governo, maggioranza e opposizioni, come in un grande coro dove tutte le voci sono perfettamente allineate: “La Legge di Stabilità – è stato il commento di Falcone dopo il via libera della commissione Bilancio – poggia su tre pilastri: la certezza dei conti, il sostegno all’economia e allo sviluppo, l’ascolto di tutte le forze politiche e sociali della Sicilia. Non c’è un solo ambito d’intervento o socio-economico che non viene toccato dall’intervento della Regione, a dimostrazione dell’attitudine servente che ispira l’azione di governo della giunta Schifani”.

Servente è un aggettivo declinabile in più salse: ciò che emerge davvero, in questa fase, è il desiderio di portare a casa la manovra il più rapidamente possibile. Senza tener conto della qualità della spesa (a lungo rivendicata da De Luca), senza giustificare fino in fondo l’indirizzo delle risorse extraregionali (da investimenti a spesa corrente), senza doversi per forza vergognare. Perché così fan tutti. Più che una Finanziaria rischia di somigliare a una fiera. Tutti ne sono perfettamente consapevoli e, a differenza del passato, hanno deciso di chiudere un occhio.

De Luca: “Bisogna sistemare la macchina amministrativa”

“Basta con il bancomat del fondo delle autonomie locali e garanzie sulle triennalità e intangibilità dei trasferimenti agli enti locali”. È quanto chiesto al Governo dal leader di Sud chiama Nord Cateno De Luca, esponendo in aula la relazione sul bilancio e la legge di stabilità della Regione siciliana.
“Dobbiamo creare le condizioni affinché tutti i comuni possano diventare virtuosi. Per farlo la Regione deve garantire la triennalità dei trasferimenti agli enti locali. Troppo spesso gli amministratori sono costretti ad attendere che il governo definisca un progetto di bilancio che possa poi essere condiviso da questo Parlamento. Così facendo, però, danneggiamo il territorio perché non solo blocchiamo il flusso di cassa della Regione, non solo continuiamo ad appesantire la capacità di spesa della regione siciliana ma facciamo il medesimo danno ai comuni. Oggi – è stato l’esempio citato da De Luca – il comune di Messina rischia di perdere 30 milioni di euro finanziamento del PNRR per la realizzazione di un impianto di compostaggio per il quale io da sindaco ho faticato ad ottenere. Da mesi c’è un rimpallo di competenze tra il dipartimento dell’urbanistica e il dipartimento dell’ambiente. Ognuno dei due ritiene che l’argomento sia di competenza dell’altro ed il risultato è che tutto si è bloccato. Tutto questo non è accettabile. Sono pronto a fare nomi e cognomi dei dirigenti e dei funzionari che nonostante le norme non si vogliono assumere la responsabilità del ruolo che ricoprono. Questo governo deve agire e pretendere che la sburocratizzazione si concretizzi”.

“Lei – ha affermato De Luca rivolgendosi all’assessore Falcone – potrà fare tutte le manovre finanziarie che vuole, questo Parlamento potrà anche accettare la sfida al rialzo, ma se non siete in condizione di sistemare la macchina amministrativa non cambierà nulla. Da sindaco della città di Messina ho fatto un’operazione che ha consentito di snellire tutti gli iter procedurali. Quando mi sono insediato nel 2018 nel comune di Messina c’erano 23 dirigenti generali, vale a dire 23 centri di costo, 23 centri di complicazione. Li ho ridotti a 9 ottimizzando le risorse umane. Un’operazione che ha permesso di snellire la macchina amministrativa e che ha consentito alla città di Messina di essere prima in Italia in capacità di spesa per tre anni consecutivi. Ci aspettiamo che da questa legge di stabilità e da questo bilancio parta una filiera che si deve adeguare alle esigenze degli enti locali”.

E’ stato approvato dall’aula di Sala d’Ercole l’articolato del bilancio: il voto finale, però, avverrà contestualmente a quello sulla Legge di Stabilità. L’analisi degli articoli riprenderà mercoledì mattina alle 10.15, come stabilito dalla conferenza dei capigruppo.