Giorgio Pace, ex sovrintendente dell’Orchestra Sinfonica Siciliana defenestrato dal Politeama il 24 dicembre e da qualche settimana direttore delle Risorse umane al Teatro San Carlo: cosa si vede dalla finestra sul golfo più bello del mondo, a Napoli, guardando verso Palermo, al promontorio più bello del mondo?

«Intanto si sente il piacere di stare in questo teatro lirico che è stupefacente per bellezza e per uno abituato alla bellezza dopo aver lavorato per 25 anni al Massimo di Palermo come direttore amministrativo prima e operativo poi… non so se mi spiego. Quando ha saputo delle vicende palermitane la sovrintendente del San Carlo, Rosanna Purchia (nome storico del teatro italiano, quasi una vita, 33 anni, al Piccolo di Milano, ndr), mi ha telefonato e mi ha detto: “Vieni a lavorare con noi”. Non me lo sono fatto ripetere».

Chiedevo però cosa si vede in direzione Palermo…

«Quello che ho lasciato è stato tre mesi in balìa dell’abbandono: guardo con un certo distacco, adesso, ma non senza che l’amarezza si sia stemperata».

Lei e il suo Cda siete stati fatti fuori in un giro di valzer.

«La cacciata del Cda è stata propedeutica alla mia».

Eppure lei era arrivato al Politeama in veste di “salvatore della patria”, di “pompiere”…

«Fuori dalle metafore, ho fatto quello che dovrebbe fare ogni sovrintendente. Chi oggi lo nega ha la memoria corta».

Facciamo un ripasso insieme, allora.

«Sono arrivato nell’aprile del 2016 che c’erano 12 milioni di debiti. Ho messo nero su bianco un piano di risanamento triennale che scade a dicembre prossimo. Ho fatto ricorso al decreto Renzi per la rottamazione delle cartelle esattoriali che ammontavano a 8 milioni e si sono sgonfiate di 3, ho attinto per un prestito di 7 milioni al Fondo della Regione, ho firmato il nuovo contratto integrativo visto che il precedente era del 1989 quando c’era ancora la lira, il costo degli straordinari che era di 10 mila euro al mese è sceso a zero, ho saldato cachet ad artisti che aspettavano d’essere pagati da cinque anni, ho creato l’Orchestra Giovanile Siciliana, ho riportato fuori dal teatro la formazione principale, dai luoghi vecchi e nuovi di Palermo (l’Orto Botanico, Palazzo Riso) a Gibellina, Catania, Segesta, Agrigento, siamo tornati a Roma dopo anni con un concerto per il 60° della fondazione della Sinfonica e adesso 70 professori andranno al Maggio Musicale Fiorentino per eseguire un inedito appositamente composto da Sciarrino che sarà anche sul podio».

Quasi un Eden, vien da credere. E perché uno così allora si caccia via?

«Perché da più di un anno a questa parte la Sinfonica, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della Regione, di cui è figlia, è l’oggetto delle bramosie politiche della Regione stessa. Ed è così partita un’operazione di picconaggio: primo colpo, l’invito a dimettersi ai vecchi consiglieri del Cda, secondo colpo il mio licenziamento. Con tanti altri colpi in mezzo».

Se l’aspettava?

«Me lo avessero detto subito, un giro di tacchi e avrei tolto il disturbo. E invece hanno cominciato a girarci intorno, a tergiversare, a manfrinare, a logorare me e quelli che con me lavoravano, a tentare di cambiare lo statuto… Il nuovo Cda ha fatto nove sedute – nove – per trovare il modo di farmi fuori».

E il 24 dicembre…

«E’ arrivato il benservito, il regalo di Natale. Una data di cui s’è stupito anche il mio avvocato».

Si rivarrà allora.

«Certo che lo farò».

Ieri è stato nominato il nuovo presidente del Cda, l’avvocato Stefano Santoro. Che succederà adesso?

«Non lo so, non ho la sfera di cristallo. Spero che si scelga al più presto il nuovo sovrintendente e che sia una personalità di rilievo: magari attraverso il bando internazionale auspicato da una petizione il cui primo firmatario è Paolo Emilio Carapezza».

Nel frattempo…

«Ho visto che i picconatori non hanno smesso. Basti l’esempio del “presunto scandalo” dei permessi degli orchestrali, stipendiati per starsene a casa. Perché gettare discredito su una formazione eccellente fatta da seri professionisti della musica? La rotazione è questione legata ai ruoli in orchestra, al repertorio, al logorio che varia a seconda degli strumenti, delle “parti”. Studiassero un po’, i politici picconatori, si informassero invece di piazzare solo i loro raccomandati».

Contemporaneamente alla Sinfonica lei è stato inviato a Catania per risollevare le sorti del Teatro Stabile. Anche lì c’era un buco di 12 milioni…

«Ma non imputabili alle ultime gestioni, come è stato fatto credere. Non diciamo fesserie. Un debito così grande non si può accollare a un singolo direttore artistico. Sono voragini che si creano nel corso di anni e anni magari per la megalomania di alcuni e per il mancato controllo di altri. Sono arrivato a Catania che lo Stabile era chiuso da sei mesi e rischiava di uscire dalla lista dei Teatri di rivelante interesse culturale, il Tric. Il direttore del ministero mi disse: “Ti do tre mesi di tempo…”. Ce l’abbiamo fatta, ho litigato furiosamente con la politica catanese abituata ad alzare la cornetta per chiederti soltanto “mi prendi questo?”, “mi piazzi quest’altro?”».

Una provocazione, per finire: e… se la chiamassero al Biondo di Palermo che messo bene non è?

«Lo vuol sapere? In via amichevole me lo hanno già chiesto: “Perché non vieni tu?”. Ho amichevolmente declinato l’invito. Adesso lavoro qui, a Napoli, in questo teatro splendido, me ne sto affacciato sul golfo, come dice lei. E poi le sfogliatelle non mi dispiacciono affatto».