La politica non può e non deve fermarsi di fronte all’emergenza. Non può stravolgere il proprio ruolo. O perdere l’abitudine (ma in parte, in Sicilia, è già avvenuto) di pianificare il futuro, di proporre strategie, di programmare riforme. Eppure, Musumeci in primis, si mostra allergico alle critiche. Ha detto più volte che questo “è il tempo del silenzio”, e chi prova a minarlo è uno “sciacallo”. Determinando di fatto una sospensione dei processi decisionali in funzione di qualcosa di più alto: gli ospedali e la sanità. La politica, al netto di qualche deputato cocciuto, da circa un mese mezzo dibatte – però – sempre delle stesse, identiche cose. Il lessico della quotidianità (rimpasto, assessori e riforme) è stato rimpiazzato dalle comunicazioni sul picco dei contagi che non arriva mai, sulle mascherine insufficienti, sul numero dei posti letto della terapia intensiva (600 a pieno regime) che pure i bambini conoscono a memoria.

I politici affrontano l’emergenza sanitaria come fossero medici, declassando il resto in fondo alle loro giornate. Anche l’economia, come ha avuto modo di evidenziare in aula l’onorevole del Pd, Nello Dipasquale, è una cosa che viene dopo: “Abbiamo sprecato il mese di vantaggio che il virus ci ha concesso. Dal 21 febbraio Musumeci non ha prodotto un solo atto”. E questa incertezza nei provvedimenti, più che negli spostamenti (azzerati), produce ansia supplementare: andateglielo a spiegare che i cassintegrati in deroga non vedranno un euro prima della seconda metà di aprile; o che ristoranti e alberghi, complice la paralisi, non potranno riaprire le prenotazioni chissà per quanto; o che i piccoli imprenditori dovranno versare alle banche fino all’ultimo centesimo della rata del mutuo, nonostante tutto. Andate a spiegare a tutti loro la latitanza delle istituzioni, impegnate ogni giorno a contare vittime e contagi, anziché calcolare i rischi e prevenire il dopo.

In Sicilia ancora ci si interroga sui cento milioni promessi da Musumeci ai comuni. Sabato è stato firmato un provvedimento per erogare la prima tranche, pari a una trentina di milioni. Ma molte delle misure prospettate fin qui, si sono rivelate annunci. La politica ha ceduto il passo alla propaganda, scordandosi di attivare il tasto ‘play’. E’ ora che torni in corsia, per utilizzare un’espressione molto in voga, e lasci all’assessore Razza, e al dipartimento e alle Asp che lo assistono, l’incombenza di occuparsi dell’emergenza sanitaria. Musumeci, a tal proposito, ha costituito una task force “per coordinare le misure finanziarie ed economiche necessarie a fronteggiare l’emergenza”, infarcita di dirigenti e diretta dall’ex capo dell’Agenzia delle Dogane, Benedetto Mineo.

Ma anche la giunta deve occuparsi di politica. Tornare a fare quello che faceva prima, magari un po’ meglio. Occuparsi all’ordinario – perché no – e dare gas a una macchina che attualmente viaggia a motori spenti. Quando l’emergenza sanitaria sarà finita, se ne proporranno di più gravi. E bisogna essere preparati. Il governo Musumeci, d’altronde, ha sempre operato nell’emergenza. Ma mai come stavolta serve cambiare ritmo. Ripartendo dalle cose ordinarie, di cui Buttanissima, da oggi, vi parlerà con una rassegna quotidiana. Ridando dignità alle singole decisioni.

Alcune non sono più rinviabili: prima fra tutte, il taglio degli sprechi e delle clientele, perché in Sicilia non c’è più spazio per alimentare enti e istituti, e sostenere gli “amici degli amici”. Ce l’ha chiesto anche Roma, prima di Natale, contestualmente alla possibilità (un dono?) di spalmare in trent’anni un disavanzo da due miliardi nei confronti dello Stato. Ce lo chiede ripetutamente la Corte dei Conti, anche se il nostro governo finisce spesso per ignorarla. Molti “carrozzoni” vengono tenuti in piedi allo scopo di salvaguardare poltrone che il sistema non può più allattare. Bisognerebbe utilizzare il criterio della trasparenza – questa sconosciuta – anche per l’individuazione delle figure apicali della macchina burocratica regionale, che troppo spesso s’impantana. In altre parole: bisogna scegliere in maniere oculata i prossimi dirigenti generali, la cui nomina – strategica per il futuro dell’Isola – è stata rinviata al 17 aprile.

Seconda, enorme esigenza: approvare un Bilancio che dia un minimo di respiro e famiglie e imprese. Dove sia finalmente possibile consentire un po’ di spesa (siamo in esercizio provvisorio dopo essere rimasti per alcuni mesi a secco). Che assicuri gli stipendi ai lavoratori regionali, che accorci il divario con gli ultimi della classe, che garantisca misure eque e solidali per uscire dall’emergenza in atto. Un testo snello, poche misure, magari condivise. Terza questione: negli ultimi due anni e mezzo di legislatura andrebbe garantita alla Sicilia una maggioranza. Musumeci deve lavorare sui numeri, fare squadra, ripresentarsi in aula, evitando di farsi maciullare dai franchi tiratori. Sbagliato o giusto che sia, occorre un indirizzo politico. Solo una coalizione che remi dalla stessa parte può darlo. Finora non è stato così, e ciò ha costretto ad ammainare molte bandiere: in primis la riforma sui rifiuti, al palo da novembre. La riorganizzazione del centrodestra passa dal risiko del rimpasto: io qui, tu lì, ma con uno spirito costruttivo. La prima necessità è coinvolgere la Lega nella squadra di governo. E ridefinire i ruoli in base alla rappresentanza parlamentare dei partiti. Non esiste altro modo.

Infine, bisogna tirare fuori dal cassetto la parola “futuro”. Immaginare la Sicilia tra vent’anni. Affidare i settori strategici a chi ha le competenze per determinare sviluppo (e non conservazione dello status quo). Non ci stancheremo mai di ripeterlo, ma un assessorato dirimente come quello ai Beni Culturali non può restare per oltre un anno – dalla morte del povero Sebastiano Tusa – senza guida. E’ in quel settore che si decidono le fortune della Sicilia, che si alimenta la bellezza e si organizzano i profitti. Che si infonde speranza in una terra che ha avuto poco, pochissimo rispetto alle prerogative costituzionali che lo Statuto gli riconosce. Ma non ha mai fatto abbastanza per darsi una vera possibilità di rinascita. Fare i medici e le crocerossine non basta più. Il tappeto della peste non può servire per nascondere questioni per le quali bisogna trovare al più presto delle soluzioni, sagge e coraggiose.