C’è una cerchia di fedelissimi verso i quali Renato Schifani, laudato si’, riversa solo parole d’amore. Nessun mal di pancia, nessun livore. Solo estrema gratitudine per essere i custodi del verbo di cui il presidente, da qualche mese, inonda i corridoi di Palazzo d’Orleans. Lo comprendono, lo applaudono e lo assecondano. Lo assistono in questa piaga infernale che è il governo della Regione siciliana, un mare magnum di scandali e di polemiche, pronte a saltare fuori a ogni piè sospinto. I precari del Covid, i soldi del Turismo, le nomine sospette. E ancora: le parcelle d’oro, le Finanziarie inciuciste, i fondi europei dispersi. Altro che il vecchio e caro palazzo Giustiniani.

Per guidare questa macchina arrugginita non serviva il doppio petto, ma bastava presentarsi in maniche di camicia, avere un piglio deciso (e magari una visione), e saper sbrogliare matasse complicate che si tramandano di governo in governo. Senza soluzione. Schifani sapeva di non essere portato. Ha ammesso candidamente che avrebbe preferito l’esilio dorato nella Capitale, dopo una consumata carriera da tutore dell’ordine (come presidente del Senato). A 72 anni poi… Ma ha sentito il richiamo della Sicilia e soprattutto dei partiti: non tanto Forza Italia, dove è in atto una lotta esangue per la conquista della leadership; quanto di Fratelli d’Italia, che lo accudisce come fosse suo.

Nello schieramento di Meloni, Schifani può continuare a puntare sul presidente del Senato Ignazio La Russa. Senza il quale non sarebbe qui. La Russa l’ha scelto – così dice – da una rosa di nomi proposta da Forza Italia (all’insaputa del Cav.?). L’ha prelevato in casa d’altri (è pertanto il suo padre putativo) e l’ha eletto al trono al posto di Musumeci. Ha dato slancio all’ultimo pezzo della sua carriera e tuttora si riserva di telecomandarlo a distanza: sin troppo palese il suo intervento per la nomina di due assessori fuoriquota (tra cui Elena Pagana, la moglie di Razza), ma soprattutto per placare le polemiche all’indomani della figuraccia di Cannes, “ordinando” un semplice scambio di deleghe fra Elvira Amata e Francesco Scarpinato.

E’ da La Russa che Schifani è immediatamente corso per ricucire la jihad con il pezzo più integralista di Fratelli d’Italia dopo le accuse di Manlio Messina, il suo primo (e temutissimo) tormento patriota. Ed è, probabilmente, da La Russa che bisognerà tornare, quasi con deferenza, per decidere a tavolino il prossimo candidato sindaco del centrodestra a Catania. Non che Schifani abbia alcuna velleità per nome e per conto di Forza Italia; ma è stato lui stesso a proporsi come “allenatore”, con l’obiettivo di preservare l’unità della coalizione. La Russa sarà il catalizzatore di questo impegno: un compromesso, fra gentiluomini, si trova sempre. Entrambi potranno dimostrare di saperci fare, di essere l’anima di una coalizione a pezzi, che, notoriamente, si dimostra bravissima a far sparire i cocci.

Tra le eminenze grigie del governatore, certamente meno influenti di La Russa, se ne annoverano almeno altri tre. La più possente è Marcello Caruso, il capo della sua segretaria particolare, nonché braccio destro e confidente prediletto. L’ex guida della Sas, che di dimise dalla partecipata nel 2018 dopo un attacco sferrato da Miccichè, ha avuto varie esperienze di sottogoverno (fu nominato per un periodo anche da Raffaele Lombardo all’Istituto Olio e Vino); ma adesso si appresta addirittura a diventare il nuovo commissario regionale di Forza Italia. A due condizioni: che Miccichè si tolga di torno e che Berlusconi acconsenta a cedere il partito siciliano alla folta rappresentanza schifaniana. Perdendo, di fatto, la prerogativa del controllo. Caruso, che è già stato il responsabile regionale degli enti locali di FI, segue Schifani ad ogni appuntamento (che lui stesso gli organizza), specie quelli che prevedono il taglio di un nastro. E’ il cerimoniere della sua presidenza, fin qui opaca e inconcludente. C’è sempre.

C’è, ma si vede meno, l’altro postulatore della sua santità: quel Pietro Alongi che ancora accarezza la speranza di un seggio all’Assemblea regionale. E’ il risultato il primo dei non eletti nel collegio di Palermo (con 47 voti di margine sul “povero” Ciccio Cascio). Se Miccichè fosse andato al Senato, sarebbe subentrato lui, e oggi la festa sarebbe completa. Invece per Alongi la gloria è venuta meno. Il suo nome era circolato nei giorni del toto-giunta, ma così Schifani avrebbe dovuto sovvertire la logica degli assessori-eletti (solo Fratelli d’Italia è riuscita nell’impresa di una deroga). Eppure la fiducia – il nostro “eroe” ha seguito l’ex presidente del Senato anche nell’esperienza del Nuovo Centrodestra di Alfano – prima o poi andrà ricompensata.

Gaetano Armao, invece, è il personaggio che gli sussurra all’orecchio e che gli promette mare e monti, anche sulle questioni personali più scabrose. Sulla carta è stato un avversario politico alle ultime Regionali. S’è candidato col Terzo polo e ha fatto flop, dopo aver valutato le possibili conseguenze della rottura con Forza Italia (e un rapporto ormai logoro). Ma ora che le attenzioni dell’ex vicepresidente della Regione sembrano riversate altrove, nell’Avvocatura e nell’Università, sarà possibile rimettere insieme i tasselli di un rapporto di grande benevolenza. E,come tutti i suggeritori occulti non ci mette mai la faccia. Pesa molto la lite con la Corte dei Conti, che s’è guardata bene dal parificare l’ultimo rendiconto (targato Armao), Schifani non ha speso una sola parola di biasimo nei confronti di chi ha collezionato gli ultimi documenti contabili. Farciti – non siamo noi a dirlo, ma i magistrati – di gravi e innumerevoli errori.

Anche sul fronte della comunicazione, il presidente Schifani ha perfezionato i suoi acquisti. E si è dotato di consiglieri navigatissimi, abituati a guadagnarsi il pane schierandosi all’occorrenza, ma poco propensi al confronto con la stampa e assai permalosi (persino ai cronisti impegnati col toto-nomi assessoriale imputarono pubblicamente una misteriosa malafede). Si dice che la mela non cade mai lontana dall’albero. A questa legislatura però, per spiccare il volo, non basteranno eminenze grigie, e tanto meno yes man. Ma una visione sana e qualche rappresaglia in meno.