Livesicilia ha scritto che è finita la luna di miele. Noi, che siamo forse un po’ più spietati, diciamo invece che il disastro – con la frana della Sanità e gli scandali che affiorano sempre più numerosi – si deve essenzialmente a Renato Schifani, un governatore che purtroppo non sa dove si trova. A maggio, per il suo compleanno, regalategli una bussola. Confonde Palazzo d’Orleans, sede della presidenza del Regione, dove si riversano tutti i mali della Sicilia, con Palazzo Giustiniani, dove viveva quando era presidente del Senato. I tre mesi abbondanti del suo governo stanno lì a dimostrarlo. Al Senato doveva semplicemente fare il guardiano del regolamento: a chi dare la parola, a chi toglierla. Da presidente della Regione ha invece da governare una macchina amministrativa molto complessa e disastrata. Avrebbe dovuto scegliere le persone giuste per il posto giusto; avrebbe dovuto dosare con intelligenza ed esperienza il potere tra i partiti che compongono la maggioranza; avrebbe dovuto stare attento alle nomine negli enti, dando fiducia a gente competente e non ai galoppini elettorali; avrebbe dovuto eliminare i bulli e i balilla che hanno inquinato per cinque anni il governo Musumeci; avrebbe dovuto controllare le arroganze malandrine dei patrioti vincitori delle elezioni; avrebbe dovuto dimostrare insomma una cultura di governo. Ma niente: ha fatto tutto al contrario e ha inanellato un lungo rosario di errori e figuracce.

Cominciamo dalle nomine. Il danno più grave, il monumento all’irresponsabilità e alla faciloneria di Schifani si chiama Giovanna Volo. Un disastro. Il presidente l’ha scelta non dopo avere valutato lo spessore tecnico e professionale del nuovo assessore alla Sanità, ma solo per fare uno sfregio a Gianfranco Micciché, suo incubo notturno e suo rivale di partito. Successe che il nome della Volo gli fu fatto da Elio Cardinale, ex preside di Medicina e marito di Annamaria Palma, oggi procuratore generale aggiunto di Palermo, alla quale Schifani, quando regnava Palazzo Madama, aveva affidato il suo gabinetto. Insomma, un inciucio tra amici. Come un inciucio da inviti a cena è stata la sciagurata nomina di Tommaso Dragotto, 85 anni, al vertice dell’Irfis: un imprenditore milionario che, sul terreno scivoloso della politica, ha mostrato solo di saper fare il gioco delle tre carte, tanto che il fascicolo, dopo le sue obbligate dimissioni, è finito alla procura della Repubblica “per il di più a praticarsi”.

E non parliamo degli altri papocchi. La gestione dell’affare Cannes – col Balilla che pretendeva di elargire 3,7 milioni della Regione, a una società un po’ farfallona con sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo – è stata per Schifani peggio di una Waterloo. Scornato dal Balilla, che gli ha attribuito l’intera responsabilità amministrativa – “l’interim del Turismo in quei giorni era suo”– s’è dovuto rimangiare tutto come un don Abbondio al fico d’India. Stessa scena quando ha preteso, con i poteri di capo di governo, di buttare fuori dalla giunta il maresciallo Francesco Scarpinato, incautamente nominato assessore al Turismo e al quale ha tentato di attribuire il peccato di Cannes. Dimenticando però che Scarpinato era stato scelto dal Balilla come suo personale spiccia faccende e prestanome. E’ stato il secondo scorno: Schifani ha obbedito all’ordine dei meloniani – un ordine perentorio, come tutti gli ordini dei vincitori – e Scarpinato è rimasto in sella, anche se trasferito dal Turismo ai Beni culturali.

Il resto è tutto da vedere. Partendo comunque dal principio che il mondo di Schifani si divide in due: da un lato ci sono quelli che gli organizzano le cene, che lo applaudono, che gli baciano la pantofola, che lo santificano anche quando la sua azione di governo precipita verso il nulla. Si è visto con la nomina della Volo, consigliata dal circoletto dei suoi amici, e con la infelice vicenda di Tommaso Dragotto, grande organizzatore di feste. E si è visto pure con i personaggi che lui ha scelto per il suo cerchio magico, dove hanno trovato posto non solo i pagnottisti ma pure i fedelissimi seguaci del Bullo, personaggio di infausta memoria musumeciana, che puntualmente lo consiglia e gli promette salvezza su tutti fronti, anche quelli più spiacevoli e insidiosi.

L’altra metà del mondo è costituita dai suoi odi: contro Miccichè e gli uomini di Miccichè, tutti inclusi e nessuno escluso; contro Antonello Cracolici, presidente della commissione antimafia, che ebbe l’ardire di ricordare che la Sicilia ha eletto un presidente della Regione imputato in un processo; contro chiunque gli muove una critica per riportarlo alla realtà e per dire, quando è necessario dirlo, che il re è nudo. Ovviamente ignorando la lettera di San Paolo ai Galati: “Ma, dunque, sono diventato vostro nemico dicendo la verità?”. E’ il suo carattere. Solo che con i livori e i rancori non si va molto lontano. Un governo che da tre mesi “balbetta, litiga, incespica, minaccia e reclama”– cito un articolo apparso ieri sul Quotidiano di Sicilia – difficilmente toccherà il traguardo dei cinque anni. Quo usque tandem, fino a quando i gerarchi di Fratelli d’Italia potranno sopportare un presidente così smarrito e un governo così fragile e sfilacciato? La politica, a suo modo, è una scienza esatta.