Nessuno, ma proprio nessuno, ha voglia di stracciarsi le vesti per Nello Musumeci. Fratelli d’Italia lo sostiene perché è “l’unico che ha trascorso cinque anni senza un inciampo giudiziario né alcuna commistione con ambienti strani” (parola di Ignazio La Russa a ‘La Sicilia’), non perché abbia acquisito particolari meriti sul campo. Infatti metà partito, quello che fa riferimento a Raffaele Stancanelli, non si scalda manco pe’ niente. La Lega, quando gli si parla del colonnello Nello, prende tempo. E’ accaduto di fronte alla proposta di un “ticket” fra i più appetitosi (Scoma a Palermo, Musumeci alla Regione) e anche adesso che FdI chiede una parola di chiarezza in cambio del sostegno a Ciccio Cascio, probabile candidato di coalizione nella quinta città d’Italia. Anche se i problemi maggiori di posizionamento sorgono dentro Forza Italia: dove un’ala del partito, quella dei ‘ribelli’, non nasconde di adorarlo; e quella vicina a Micciché, invece, non lo ritiene in grado di vincere contro un gatto.

Ciò che è scientificamente provato, però, è che la ricandidatura di Musumeci – più volte ostentata dal diretto interessato – ha creato problemi e fratture all’interno dei singoli partiti. E non soltanto al di fuori. Quella di Forza Italia è la dimostrazione plastica: gli assessori Armao e Falcone già da tempo sostengono il bis del governatore; ad essi si è aggiunto da poco la new entry Marco Zambuto, che Micciché aveva scelto correndo un rischio enorme, cioè quello di sfasciare il partito nell’Agrigentino (cosa che è accaduta). Ai ribelli sembrava riuscito il colpo di Stato con l’elezione del nuovo capogruppo all’Ars, grazie all’aiutino esterno di Marcello Dell’Utri; ma nell’ultimo mese Micciché ha riguadagnato posizioni, ottenendo l’ultima parola sul candidato sindaco di Palermo: Cascio. Una decisione che ha segnato un forte contraccolpo per i suoi detrattori, che fino all’ultimo avevano flirtato con la Lega per ottenere soluzioni diverse, allo scopo di incrinare la sua leadership.

Negli ultimi giorni, però, il malpancismo ha interessato anche altre realtà. In primis la Lega di Matteo Salvini. Che fra il Capitano e Musumeci non corresse buon sangue, era noto da un paio di estati. Cioè dal gran rifiuto del governatore di stringere una federazione col Carroccio. Un rospo che Salvini non ha mai mandato giù, tanto da aver promosso – in una vecchia intervista – il suo segretario, Nino Minardo, come potenziale successore. Fondamentalmente, non ha mai cambiato idea. Anche se adesso, all’interno del Carroccio, ci sono altre questioni. A partire dall’oltranzismo di Luca Sammartino: l’ex renziano è uno dei detrattori più accaniti di Nello Musumeci e sta facendo il possibile per boicottare l’accordo che conceda al “nemico giurato” il diritto di prelazione su Palazzo d’Orleans. Il deputato etneo, Mr. Preferenze alle ultime Regionali, sarebbe disposto a sostenere altri esponenti di Fratelli d’Italia, purché diversi da Musumeci. E gli tornerebbe persino utile dato che alla Lega, in quel caso, spetterebbe la poltrona di sindaco di Catania (con la sua compagna di vita e di politica, Valeria Sudano, in prima fila).

Appaiono più possibilisti, invece, Matteo Salvini e Nino Minardo, che a parole si sono sempre professati ligi al “centrodestra unito” e disposti a qualche sacrificio. Anche se le ultime vicende messinesi hanno aperto un altro fronte. Chi ha trattato e ottenuto l’accordo con Federico Basile, il candidato di Cateno De Luca, è stato l’onorevole Nino Germanà. Il resto del partito, compreso il capogruppo all’Ars Antonio Catalfamo, è rimasto spiazzato. E ha pensato di confluire sul concorrente Maurizio Croce, sostenuto dal resto della coalizione di centrodestra (tra cui Fratelli d’Italia). Fino alle parole di Salvini, che hanno certificato la corsa al fianco di Scateno. Una mossa, se vogliamo, che sancisce la presenza di un’evidente crepa interna alla Lega (ribattezzata con il nome di Prima l’Italia per le Amministrative); e conferma l’accerchiamento nei confronti del governatore. De Luca, come e più di Sammartino, è un suo “nemico giurato”. Anche l’individuazione di Alberto Samonà nel ticket con Cascio, agli occhi dei più, suona come una piccola provocazione nei confronti di Musumeci, se questi e Fratelli d’Italia dovessero rimanere focalizzati sulla frequenza di Carolina Varchi.

Il partito della Meloni, in questa fase, dà la sensazione di remare dalla stessa parte. Ma trascina con sé i dubbi della base e di alcuni esponenti di rango: pur avendo manifestato rispetto per le decisioni assunte da Giorgia, Raffaele Stancanelli non ha mai nascosto il senso di disagio per la scelta di sostenere Musumeci. “Personalmente non porto rancore – ha detto di recente l’europarlamentare – io parlo di politica”. L’ex sindaco di Catania non ha mai mandato giù le affermazioni di Musumeci sul “partitino del 2-3%”, né l’umiliazione subita pubblicamente durante una direzione di Diventerà Bellissima, alla vigilia delle ultime Europee, quando il governatore e Ruggero Razza scartarono in malo modo la mozione per federare i due partiti. Un’ipotesi che tre anni dopo, allo scopo di capitalizzare il bis a palazzo d’Orleans, è diventata invece l’unica soluzione praticabile. La politica ha la memoria corta, ma fino a questo punto…

L’artefice del patto Meloni-Musumeci è l’assessore regionale Manlio Messina, che ha assicurato La Russa sul bilancio di Musumeci. Che sarebbe “ottimo” o “quanto meno non è assolutamente inferiore a qualsiasi altro governatore di centrodestra ricandidato senza discussioni”. Sembra la logica del tanto peggio tanto meglio. Espunta dai sondaggi, che rimangono l’unico metro adottato per prendere una decisione. Al netto di come si è governato: “Col centrodestra unito – ha confermato La Russa a ‘La Sicilia’ – su cinque candidati testati, vincono tutti, persino Miccichè, tranne un nome che non le faccio. Ma Nello ha sempre il consenso più alto degli altri, in questo e in altri sondaggi in mano agli alleati”. E’ per questo che la Meloni, accogliendo alcuni suggerimenti, ha puntato su di lui, anche se conosce bene i limiti del suo interlocutore. Non è nata ieri.

Il limite più grosso, forse, è aver spaccato tutti i partiti. Evitandoli. Ecco perché all’idea di ritrovarselo lì, sul trono, per altri cinque anni, tutti tremano.