Manca ancora il perimetro, ma almeno hanno trovato il metodo: il prossimo candidato alla presidenza della Regione il centrosinistra se lo sceglierà col metodo delle primarie. Forse. Il primo a parlarne ufficialmente, cogliendo di sorpresa anche i Cinque Stelle, è stato il segretario regionale del Pd, Anthony Barbagallo, impegnato nei giorni scorsi con Peppe Provenzano (ex ministro per il Sud, nome spendibilissimo per palazzo d’Orleans) fra Noto e Lentini, dove in autunno si vota per le Amministrative. Il Partito Democratico, insomma, si mette ufficialmente alla guida della coalizione. Dopo un lungo tira e molla per individuare le anime di questo ‘campo largo’, Barbagallo, con uno slancio coraggioso, ha offerto un assist a Claudio Fava, che da settimane ha dichiarato la sua disponibilità a correre contro Musumeci.

Sarebbe un duello fra titani, se non fosse che a sinistra hanno già stoppato tutto. Cancelleri, che sta ragionando sull’eventualità di uscire dal M5s, si è dichiarato contrario alle fughe in avanti. E il Pd non ha fatto sconti all’amico Claudio: prima i programmi e le alleanze. Dopo, e soltanto dopo, il nome. Il tentativo di prendere d’infilata il centrodestra, organizzando la campagna elettorale con largo anticipo, è una prospettiva che richiede il massimo della cautela. Partire dalle regole, invece, potrebbe rivelarsi l’arma vincente: “L’apertura del Pd alle primarie è una buona notizia – ha confermato Fava -. Adesso subito al lavoro per dare la parola ai siciliani e alle siciliane rompendo una inutile melina. Si individui rapidamente una data, non oltre quest’autunno, e diamoci delle regole certe. Io ci sono. Nei prossimi giorni cominceremo a lavorare per costituire i primi ‘comitati per Fava Presidente’”.

Dal canto suo il Partito Democratico, nel momento di maggiore difficoltà dei Cinque Stelle si mette alla guida del gruppo. E prova a scandire i tempi, come rivelato dal suo segretario: “Noi, come PD, abbiamo il dovere di costruire una coalizione identitaria con proposte innovative e di sviluppo – ha detto ancora Barbagallo -. Stiamo facendo un grande lavoro sui territori, in provincia, in tutti i comuni al voto per definire accordi e coalizioni in vista delle prossime Amministrative, per avviare un percorso che ci consenta di contrastare un governo, quello guidato da Musumeci, sordo che ha letteralmente abbandonato i comuni a loro stessi”.

I Cinque Stelle, invece, stanno attraversando un periodo difficile a livello nazionale, dove soltanto da poche ore sembra ricucito lo strappo fra Conte e Grillo. Ma anche all’interno del gruppo dell’Ars serpeggia un po’ di malumore per le ultime intemerate romane. C’è chi cerca – disperatamente – di mantenere una posizione fra i due contender, e chi li sfanculerebbe entrambi. E c’è chi, come il capogruppo all’Assemblea regionale, Giovanni Di Caro, non nasconde la propria amarezza per il trattamento riservato all’avvocato del popolo. Le primarie restano pur sempre un’ipotesi balenata in casa altrui. “Non ne abbiamo ancora parlato – ammette Di Caro al telefono – ma lo faremo a breve. Se vuole posso dirle come la penso io…”.

Come? “C’è il rischio, lo so bene, che l’esito delle primarie venga condizionato dai nostri avversari, che proverebbero a indirizzare la scelta verso il candidato a loro più congeniale… Ma credo – afferma Di Caro, a titolo personale – che potremmo neutralizzare l’effetto ‘truppe cammellate’ del centrodestra, organizzando una bella campagna e portando al voto più gente possibile. Diciamo che in linea di principio mi ritrovo d’accordo col metodo. Un discorso analogo andrebbe affrontato, però, per Palermo. E’ tutto work in progress”. Nel M5s, insomma, non c’è ancora una posizione ufficiale. Anche Luigi Sunseri cade un po’ dalle nuvole: “Primarie di cosa? Io non l’ho ancora capito… Se il segretario del Pd si riferiva a una competizione interna al suo partito, per poi offrire un nome alla coalizione, sono liberi di fare. Se il riferimento, invece, era alle primarie di coalizione, noi non siamo stati consultati”.

Fa un po’ strano, questo sì, che la scelta di effettuare un passaggio nei gazebo sia stata annunciata da Barbagallo a margine del rinnovo della tessera di Leoluca Orlando. Un sindaco che ai Cinque Stelle non piace: dare le carte insieme a lui per le prossime elezioni Amministrative – si illude chi pensa che, a Palermo, il ‘professore’ non sarà della partita – è una questione che merita un lungo respiro e una riflessione accurata. La continuità invocata dall’assessore Giusto Catania, ad esempio, si scontra con gli anni di dura opposizione al sindaco da parte dei grillini. Puntellare queste dissonanze, prima di immergersi anima e corpo in un progetto comune, che prevede l’espressione di un candidato unitario sia a palazzo delle Aquile che a palazzo d’Orleans, è quanto meno doveroso.

Nel gioco delle contropartite, il Movimento 5 Stelle dovrebbe ottenere almeno uno dei contender. Per il Comune si scalda Giampiero Trizzino, che terminerà a breve il secondo mandato da deputato: profondo conoscitore di tematiche ambientali, ha già avviato una serie d’incontri (“Ma non di comizi elettorali”,) sulla ripartenza green di Palermo: l’altro giorno, allo Spasimo, ha parlato di piano regolatore generale. Ha messo lo zampino sulla legge Urbanistica approvata dall’Ars, e setaccia ai raggi x la riforma dell’edilizia e quella dei rifiuti. Mentre – sono rumors di RadioParlamento – per la Regione circolano i nomi di Giancarlo Cancelleri e Luigi Sunseri, esperto di bilanci e malefatte contabili. Nel Pd, al netto di eventuali sorprese, Provenzano resta il più papabile. Depone a suo favore la distanza dal governo Crocetta, che sembra aver ‘marchiato’, in maniera negativa, molti reduci di quella stagione disastrosa.

Ma prima del toto-nomi, che solletica l’appetito degli addetti ai lavori, bisogna fare un passo indietro. Stabilire le regole – quello di Barbagallo è un primo passo – e capire chi ci sta. Italia Viva sembra aver imboccato un’altra strada. Davide Faraone, con un tweet sulla giustizia, sembra aver svoltato in maniera definitiva rispetto a un’alleanza coi 5 Stelle: “Conte dice che non canta vittoria sulla riforma della prescrizione, “torna un’anomalia italiana”. Credo che le uniche vere anomalie nel nostro paese siano state lui presidente del consiglio e Bonafede ministro della giustizia, per fortuna ambedue rimosse”. Ma è pur vero che il partito, in Sicilia, è una composizione multiforme. Tra chi si spende, tuttora, all’opposizione del governo Musumeci, e chi, invece, gli suggerisce come riempire le poltrone di assessore, nel solco di un “grande centro” (su tutti, gli ex Sicilia Futura, Tamajo e D’Agostino). I renziani, secondo l’ultimo sondaggio di Keix per ‘La Sicilia’, valgono più del 4%. Dulcis, in fundo, resta lo spauracchio del modello Draghi, evocato più volte da Miccichè. Sembra un’operazione disperata, destinata a un binario morto. “Il centrodestra c’è già, credo che bisognerebbe federare qualcosa di più largo…”, ha confessato a Taormina, durante un convegno sulle infrastrutture, il commissario di Forza Italia. Pur ribadendo che “non dipende da me applicare una formula politica o meno”. Il governo dei migliori, per il momento, resta solo un azzardo. Le primarie del centrosinistra, invece, una prospettiva. Il primo passo di una lunghissima campagna elettorale.