Non ha ancora scelto da che parte stare Raffaele Lombardo, ma certamente non con la Lega. Nel duello rusticano con Luca Sammartino, fatto di indifferenza e di silenzi (mai un tentativo di dialogo), è stato il primo a tagliare la corda. E ad abbandonare Matteo Salvini, ormai disperato cercatore di voti in una Sicilia che da tempo ha smesso di seguirlo (l’infatuazione è durata un attimo, il tempo di eleggere due deputati a Strasburgo, nel 2019). Chissà se il Carroccio rimpiangerà la (mancata) federazione con Lombardo. Il commissario Durigon non batte un colpo. Stando invece a Nino Germanà, candidato alla segreteria, il partito alle prossime Europee scollinerà il 10 per cento. Una previsione molto ottimistica, troppo forse. Ma in realtà il mancato accordo fra le parti, che il leader del Mpa avrebbe voluto suggellare con la creazione di un intergruppo all’Ars (stoppato da Mr. Preferenze) potrebbe nuocere a entrambi. E anche tanto.

Accordandosi col vicepremier, Lombardo sperava in una redistribuzione di pesi e contrappesi in un governo regionale sempre più polarizzato verso Fratelli d’Italia e Forza Italia. Non era un caso che alla presentazione del progetto, con Salvini al suo fianco, l’ex governatore metteva sul piatto i numeri (quasi il 14% dalla somma dei voti ottenuti alle ultime Regionali) e che ancora, oggi, a qualche ora di distanza dalla rottura, riproponga il teorema: “Si sarebbe dato vita – ha detto a ‘La Sicilia’ – a un terzo polo dal peso e dalla dignità pari” agli altri due partiti, “capace di esprimere credibilmente uomini e obiettivi al massimo livello, piuttosto che rassegnarsi a un ruolo minore”. Non si farà. E il rischio è che sia proprio il Mpa, almeno in questa fase, a pagare pegno.

Le due opzioni in campo sono arcinote ed entrambe insidiose: sostenere un candidato di Forza Italia – partito che ha già tagliato fuori la DC di Cuffaro e quindi non ammette liste “apparentate” – significa finire nelle grinfie di Renato Schifani e prendere ordini dal suo ventriloquo, Marcello Caruso. Può uno come Lombardo abbassarsi a tanto? Potrebbe succedere se l’alternativa, per giugno, fosse un turno di riposo. Ma il leader autonomista, da sempre in buoni rapporti con Caterina Chinnici nonostante i contatti recentemente si siano un po’ rarefatti, andrebbe a favorire un partito che in questa prima fase di legislatura, nei suoi confronti, non ha mai usato alcuna espressione di favore.

Basta citare, a titolo d’esempio, il tentativo di depotenziamento dell’assessore Roberto Di Mauro sul tema dei rifiuti. Il presidente della Regione, stando ad alcune ricostruzioni giornalistiche, si presentò a Roma, proprio da Salvini, per chiedere che rimanesse fuori dalla partita dei termovalorizzatori. E alla fine, di riffa o di raffa, c’è riuscito. Con una modalità più istituzionale, se vogliamo: ossia la nomina a commissario da parte di Palazzo Chigi. Sarà lui, Schifani, ad occuparsi dell’iter per giungere alla realizzazione dei due impianti e a dissipare i dubbi (anche) del suo scomodo assessore. Nonché di Lombardo, sempre molto cauto con la monnezza di mezzo.

Ma Forza Italia è anche il partito che qualche giorno fa, da Siracusa, gliele ha promesse. A fronte dell’ingresso di un paio di assessori, simpatizzanti del Mpa, nella giunta del sindaco Italia (un civico, con simpatie a sinistra), il deputato Riccardo Gennuso, fedelissimo di Schifani, ha annunciato “ripercussioni” sull’assetto futuro del governo regionale. Della serie: ci saranno conseguenze. Dopo le Europee, va da sé. Perché l’ingresso del Mpa non è un’azione concordata e costituisce un fastidioso precedente rispetto al modello del “centrodestra unito”. Non importa che si tratti di questioni locali, l’importante è vendicarsi.

Inoltre la FI della coppia Schifani-Caruso, negli ultimi giorni, è stata incriminata pure a Enna, dove la deputata azzurra Luisa Lantieri ha lamentato l’esclusione dal sopralluogo alla Villa del Casale di Piazza Armerina perché indigesta a quelli di Fratelli d’Italia (che al sopralluogo, però, c’erano). In questo caso, però, le indicazioni di scuderia non sarebbero arrivate da Schifani. Ma dai patrioti (che potenza!). Anche se alla fine si è concretizzata la smentita: “I problemi di comunicazione tra il vice presidente dell’Ars”, la Lantieri appunto, “e il suo partito, non possono riguardare altri e non le consentono di rivolgere accuse gravi e pretestuose nei confronti di FdI”, scrivono i meloniani. Qualcuno mente.

Forza Italia ha perso la bussola dell’intelletto: basterà a uno come Lombardo per sentirsi a casa e a proprio agio? Ieri i primi ammiccamenti, durante un incontro cui hanno partecipato Schifani e Caruso per gli azzurri, Lombardo e Di Mauro per gli Autonomisti: “Sono stati trattari vari argomenti all’ordine del giorno dell’azione del Governo – si legge in una nota – nonché alcuni argomenti di carattere politico, tra cui in particolare le imminenti elezioni comunali che riguarderanno fra gli altri anche alcuni grandi Comuni come Mazzara del Vallo, Bagheria e Gela. Successivamente il segretario regionale di Forza Italia Marcello Caruso ha illustrato il progetto del partito, che si prefigge di coinvolgere in modo attivo tutte le formazioni politiche che si riconoscono nei valori e nei programmi del Partito Popolare Europeo”. Tutte tranne la Democrazia Cristiana, forse, alla quale è stato detto (da Tajani e Falcone) che “il partito non è un taxi”.

L’altra opzione è spostare le attenzioni su FdI qualora il candidato di punta – come appare ormai certo – fosse Ruggero Razza. Lombardo ha una buona stima del delfino di Musumeci, che aspetta di tornare in campo dopo un anno e mezzo trascorso in panchina (anche se sul terreno di gioco è scesa la moglie Elena Pagana, attuale assessore al Territorio e Ambiente). Ma anche in questo caso verrebbe meno il sogno di una rappresentanza autonomista in Europa. Lombardo aggiungerebbe voti ai voti che Fratelli d’Italia ha già. Si troverebbe a sostenere un candidato che non potrebbe mai aderire al Partito Popolare Europeo, collocazione naturale per chi – come Lombardo – proviene dalla Balena Bianca: quelli di FdI finiscono dritti nel gruppo dei conservatori. Ma soprattutto finirebbe nel sacco, anzi sotto il tallone, di Manlio Messina, altro catanese doc con un giro d’influenze importanti. Colui che, servendosi del braccio armato della corrente turistica, comanda la scena dentro e fuori dal partito. Al governo, specie in alcune branche come cinema e cultura, e nelle relazioni.

Probabilmente sarebbe lo stesso Balilla a stendere un tappeto rosso all’ex governatore, consapevole del suo peso elettorale (e forte dei buoni rapporti personali), dopo aver ritirato il sostegno al bis di Raffaele Stancanelli. “Dobbiamo decidere, è presto”, ha detto l’altro ieri Lombardo, sfilandosi. La sua corsa per Bruxelles si è interrotta di fronte a un ostacolo, un rancorino, che s’è rivelato insormontabile. Ne farà di strada questo Sammartino…