Tommaso Buscetta, detto Don Masino, va al Festival di Cannes. Con il volto e la voce, azzeccatissimi, dell’attore Pierfrancesco Favino. Nel film dal titolo Il Traditore, diretto da Marco Bellocchio, in concorso per la Palma D’Oro nella kermesse che si svolgerà dal 14 al 25 maggio.

In questo film, Marco Bellocchio, uno dei registi italiani più apprezzati all’estero, racconta una storia, tutta siciliana, che è stata decisiva per l’intero Paese. Una storia che passa per l’Argentina, il Brasile e gli Stati Uniti. Ma comincia e finisce a Palermo. Palermo che, in fondo, oggi come ieri, è la città di tutti. Anche di quelli che siciliani non sono. Palermo degli arabi, dei normanni, degli svevi. Di Federico II e della poesia. Della Santuzza e della Vuccira. Palermo dei cannoli, della pasta con le sarde e dell’arancina. Rigorosamente al femminile. Palermo delle stragi di mafia.

La vicenda è nota. Tommaso Buscetta è il pentito della mafia più famoso della storia. Un ruolo in cui si cala con enorme coraggio. E una scelta che paga a carissimo prezzo. Infatti, i suoi rivali, i corleonesi di Totò Riina, sterminano tutta la sua famiglia.

Le dichiarazioni di Buscetta portano alla luce i meccanismi dell’organizzazione mafiosa così come si era strutturata dopo la sanguinosa guerra tra cosche, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Questa guerra, aveva visto i corleonesi e Bernardo Provenzano prevalere sui boss comandati da Stefano Bontade.

La storia del pentimento comincia nell’estate del 1984, quando il giudice Giovanni Falcone va a trovare Buscetta nel carcere di San Paolo, in Brasile, accompagnato dal sostituto procuratore Vincenzo Geraci. Don Masino, durante l’incontro, non risponde chiaramente alle domande di Falcone. Ma, al momento dei saluti, gli dice: “Spero potremo rivederci presto”. Pochi giorni dopo, il tribunale supremo brasiliano gli concede l’estradizione e il detenuto viene scortato a Palermo. E si trova di fronte a Giovanni Falcone.

Con il giudice scatta subito un’intesa profonda. Fatta di fiducia reciproca. Le parole di Buscetta, prima pensate per Falcone e poi rivelate, con decisione, al maxiprocesso di Palermo, nel 1986, permettono ai giudici di dare nomi e facce ai misteriosi capi di “Cosa Nostra”.  Oltre a svelare affari legati al traffico di droga, gestito in combutta con la mafia italo-americana, come il pentito rivela nel processo di New York, “Pizza Connection”.

Nell’estate del 1992, dopo gli attentati di Capaci e via D’amelio, Buscetta comincia a rivelare ai giudici di Palermo anche i legami tra mafia e politica. Cosa che prima non aveva voluto fare. “Giovanni Falcone, lo vedevo come l’uomo che voleva combattere veramente la mafia”, dice Buscetta durante una delle udienze.

In quella lunga e atroce estate del 1992, Palermo era vivida e sola. Via Libertà si srotolava sotto il sole di maggio con la sua solita eleganza spagnola. A quel tempo, non era ancora diventata la città di quelli che siciliani non sono. Vittime ce n’erano state già tante. Troppe. Ma Palermo era ancora da sola, guardata da lontano, nella luce lattiginosa di una schermo televisivo. O nella foto grigia e sgranata di un ruvido quotidiano.

Tommaso Buscetta muore negli USA, nell’aprile del 2000, sconfitto dal cancro. La forza e il coraggio che gli hanno permesso di farla sempre franca, tra latitanza, galera, rivelazioni e plastiche facciali, non lo hanno salvato.

Il film di Marco Bellocchio uscirà nelle sale dal 23 maggio, nel giorno dell’anniversario della Strage di Capaci. Quando Giovanni Falcone aveva festeggiato, da cinque giorni, il proprio compleanno. Il suo compleanno si ripete caparbio, tutti gli anni, in quel magnifico giorno 18 del mese che profuma di rose e garrisce di rondini. Ed è come se l’eroe, strappato alle rose e alle rondini nel periodo più bello, continui a vivere un po’. Ricordato da tutti i suoi cari, dai siciliani e dai non siciliani, non soltanto nel giorno della morte, ma anche in quello della nascita.

Un compleanno accade in un giorno, però. E un giorno non fa una persona. Le idee fanno le persone. Le cose fanno le persone. Come le fanno le città. Palermo ha fatto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ha fatto tutte le vittime della mafia che sono nate o non nate a Palermo e là hanno lottato, fino alla fine.

Quella maledetta estate del 1992, cominciata con il compleanno del 18 maggio e devastata cinque giorni dopo e poi, ancora, il 19 luglio, ha segnato un confine ben preciso tra ciò che eravamo e ciò che siamo. E Palermo è diventata la città di tutti. Anche di quelli che, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, si sentono un po’ siciliani, nello stesso dolore. Ed è bello che Palermo vada a Cannes, presentata da Marco Bellocchio e attraverso le parole di chi ha deciso di raccontare la verità.