Il caos calmo delle primarie del centrosinistra siciliano, rischia di essere inghiottito da un caos di ben altra levatura: quello dei Cinque Stelle che oltre ad aver provocato (forse) una crisi senza ritorno, mettono a rischio l’alleanza (ormai organica) con il Partito Democratico. Alla luce di ciò, quelle tra Claudio Fava e Barbara Floridia sembrano scaramucce. Così come argomentare del Ponte sullo Stretto, rendez-vous di una politica siciliana che non riesce a parlare d’altro.

Queste presidenziali, fino allo sfogo sommesso di Fava, sono state all’insegna del volemose bene. Una prova di democrazia partecipata e soporifera che non ha fatto emergere troppe differenze tra i contender e che, per questo, non ha scaldato i cuori: a dieci giorni dal traguardo finale, gli iscritti alla piattaforma per il voto online (o nei gazebo) sono circa 17 mila. Più che per vincere, si gioca per non perdere. E se qualcuno lo fa notare, apriti cielo. Dopo l’incontro di lunedì scorso a Ragusa, il presidente della commissione Antimafia, che s’è autosospeso dall’incarico per giocarsi la partita d’Orleans, ha affidato una riflessione ai social: “Secondo confronto, si discute di trasporti, mobilità, infrastrutture. Io osservo le mie sfidanti, le ascolto e mi chiedo: ma perché si sono candidate? Me lo chiedo senza malizia, senza astio – precisa Fava -. Me lo chiedo perché non lo so. Perché vorrei sentire nelle loro parole un’idea, un’intuizione, la disponibilità ad un rischio. Perché so che non puoi pretendere di saper governare la Sicilia solo perché ti sei fatta l’esperienza di un anno da sottosegretario o perché consideri la tua elezione un atto d’amore per la Sicilia”.

Invece, tutto si risolve in retorica. E’ lo stesso motivo per cui le candidate, chiamate a rapporto su cinque anni di governo Musumeci, non si esprimono: “Dare giudizi non mi compete” è la risposta di Caterina Chinnici, magistrato in aspettativa e volto (in prestito) del Pd. Che conscia di aver deluso tanticchia il cronista, aggiunge: “Mi dispiace. Sono una candidata fuori dagli schemi e spero possiate accettarlo”. Per carità, onorevole. La Floridia, stimolata sugli stessi temi, approccia la risposta con cautela: “La nostra campagna elettorale non è contro qualcuno”. Poi corregge il tiro: “Ma se pensassi che Musumeci ha lavorato bene, di certo non mi sarei messa in gioco”. E’ già qualcosa. Fava, però, ha trovato un modo per stanarle entrambe: “E così, quando il giornalista mi chiede cosa immagino io, cosa voglio io, la risposta non decolla verso i cieli infiniti della retorica patriottica ma resta con i piedi a terra, nella polvere di queste strade, nella solitudine di queste ferrovie, nella consapevolezza che la Sicilia va liberata anzitutto dalle proprie rassegnazioni”.

La Floridia, a cui certo non manca il modo di difendersi, tale è l’astuzia e l’impronta dialettica, finalmente si ribella: “Ho letto una serie di attacchi e critiche ai compagni di viaggio. Molto meno alla destra che governa la Regione. Quella destra che rappresenta il nostro vero avversario”. Poi, pian piano, lo imbonisce: “Queste primarie certamente non hanno l’obiettivo di creare divisioni tra di noi. È un errore e una pericolosa ingenuità – dice – per chi punta a governare l’isola in coalizione, attaccare gli alleati. A meno che Fava non pensi di poter fare tutto da solo”. Ma lasci almeno che provi a vincere, no? Distinguendosi da un piattume che non agevola le scelte.

Il piattume tipico, se vogliamo, di Giuseppe Conte. Dell’eterno indeciso che, a un certo punto, sembrava aver mandato in pappa i rapporti fra il M5s e il Pd siciliano per l’incapacità di tracciare un percorso e dare stabilità alla coalizione in vista di scadenze elettorali (come le Amministrative). Di scegliere il referente regionale (ha rotto l’incantesimo solo dopo le elezioni, con mesi di ritardo); di stabilire se approvare o meno la deroga al vincolo dei due mandati (che ha bloccato i piani del contender più quotato: Giancarlo Cancelleri); di determinare quale dei tre profili – Floridia, Sunseri o Di Paola – fosse il più adatto a rappresentare il MoVimento siciliano. “Giuseppe è uno che non decide ‘manco a casa sua”, dice un parlamentare grillino sottovoce.

E’ così anche a Roma. Dove il marchio di fabbrica dei Cinque Stelle è il penultimatum. Giocare a rimpiattino (meglio la spina dorsale o la poltrona?). Uscire ogni tanto dall’aula. Fino a giovedì pomeriggio, quando la decisione di abbandonare il Senato e non votare la fiducia ha determinato una crisi di governo e provocato le dimissioni di Draghi (congelate da Mattarellla), nonostante l’invito di Enrico Letta, sponsor delle primarie in Sicilia, a non farlo: “Attenzione, perché non vorrei che con i distinguo si finisse come con il colpo di pistola di Sarajevo, che diede il via alla Prima Guerra mondiale. Se il governo cadrà non saremo in grado di dare risposte a milioni di lavoratori e di giovani che aspettano risposte”. Un modo garbato per fermare la follia grillina.

La Sicilia potrebbe risentire di questi spasmi? Probabile. Anche se tutti, per il momento, gettano acqua sul fuoco. Per molti grillini quella col Pd è l’espressione di un’alleanza organica che è andata troppo per le lunghe. L’ha ribadito l’ex ministra Giulia Grillo, siciliana, a Repubblica: “Non mi piace essere ingabbiata in un campo. È limitante. Prima pescavamo consensi sia a destra che a sinistra. Ora è stato deciso così, anche se non si è mai capito quando. L’alleanza a un certo punto è diventata strutturale, ma stiamo scontando la subalternità al Pd”. Per fortuna ci sono le presidenziali, che distolgono l’attenzione da un quadro complessivo assai più urgente. Il Movimento 5 Stelle se le gioca coi favori del pronostico, perché il suo vestito è quello che si adatta meglio a una consultazione online. Il Pd prova a resistere con l’esperienza, ma senza entusiasmo. Fava si incunea fra le due linee nemiche (pardon, “rivali”) alla ricerca del guizzo: “Io questa terra non la amo: le appartengo, la rispetto e oggi la sfido a ritrovare se stessa, a mettere da parte le giaculatorie, i pessimismi, le rassegnazioni. Io non ho partiti e a tutti mi rivolgo, a quelli che votano Pd, a quelli che non votano più, agli orgogliosi militanti dei 5Stelle, a coloro che la politica se la sono cercata altrove, in una militanza civile senza bandiere e senza pronomi”. L’anima che la sinistra ha perso, si rifarà viva almeno questa volta?