Per l’Italia comincia la Fase due. Con qualche differenza da regione a regione. Anche la Sicilia, nonostante i tentativi di Musumeci, ripartirà in modo lento, forse troppo considerando la curva del contagio. Tra i partiti che avrebbero voluto un’accelerazione più netta c’è Italia Viva di Matteo Renzi, che qualche giorno fa, in Senato, ha suonato la sveglia a Conte: “Non abbiamo negato i pieni poteri a Salvini per darli a lei – ha detto l’ex presidente del Consiglio – C’è una ricostruzione da fare che è devastante e richiederà visione e scelte coraggiose. Dia un occhio in più ai dati dell’Istat o noi non saremo al suo fianco”. Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva a Palazzo Madama, ci aiuta a capire il momento.

Dopo l’intervento di Renzi, quali sono le “condizioni” poste da Italia Viva per restare al governo? Sarà condizione necessaria e sufficiente decidere la Fase due in Parlamento anziché per decreto?

“Noi non abbiamo mai pensato di dettare “condizioni” a nessuno, noi facciamo politica e abbiamo le nostre idee, non facciamo i sabotatori. Abbiamo sempre detto al governo di non dimenticare che sì, c’era l’emergenza sanitaria ma c’era anche quella economica. Abbiamo chiesto scelte di buonsenso, quel buonsenso che è il contrario del populismo. Dall’intervento di Matteo in Senato mi pare che l’atteggiamento di Conte sia cambiato. Forse stiamo uscendo dalla fase “grande fratello” e finalmente stiamo tornando alla dura realtà, quella della vita quotidiana delle persone, quella di imprese al collasso, di lavoratori che non percepiscono la cassa integrazione, dei nuovi disoccupati, delle famiglie impoverite e ai domiciliari con i figli da due mesi. Dico forse, ma lo scopriremo solo vivendo se la politica e il buonsenso riusciranno a frenare populismo e sovranismo. Guardiamo con grande rispetto, in questo senso, al percorso che Forza Italia sta facendo sull’Europa. Un segnale incoraggiante che merita un elogio e che marca una diversità importante con i sovranisti”.

Oggi comincia la Fase due. Come si trova il giusto equilibrio tra spinte del mondo economico e prescrizioni della comunità scientifica? Ammetterà che non è facile…

“Invece non è poi così difficile. Con lo stesso metodo del completamento del ponte Morandi. I lavori a Genova non si sono mai fermati, neppure durante il lockdown. Sicurezza e ripartenza non sono in contrapposizione. Coniugare lavoro e sicurezza è l’unica ricetta per far ripartire l’Italia. E noi alla sicurezza non rinunciamo. Abbiamo chiesto e siamo riusciti ad ottenere una misura che prevede il rimborso del 100% (fino a un massimo di 150 mila euro) delle spese già sostenute dalle imprese per l’acquisto di dispositivi e strumenti di protezione individuale come mascherine, guanti, occhiali, calzari, cuffie, ma anche termoscanner e disinfettanti. Nel prossimo decreto verrà azzerata l’iva sui Dpi e introdotto il credito d’imposta per le imprese che sanificheranno i locali. Questa è la prova della nostra idea di ripartenza al di là delle fake news e degli odiatori social”.

Nord e Sud hanno esigenze diverse. Nelle regioni del Nord ripartono le fabbriche, al Sud restano ferme le piccole e medie imprese, gli artigiani. Avrebbe avuto più senso una riapertura differenziata già dal 4 maggio? E soprattutto, da senatore siciliano, ha la percezione di una disparità di trattamento?

“Anche una riapertura differenziata ha senso, organizzata e senza scontri istituzionali. Il lockdown costa all’Italia 47 miliardi al mese, di questi solo 10 sono persi nel Mezzogiorno. Non perché sia stata colpito meno duramente dal coronavirus, il Sud avrà meno danni economici e si riprenderà prima. Anzi, è esattamente il contrario, perché da noi l’economia è molto fragile. Occorre una visione complessiva del Paese, una strategia nazionale di ripartenza e non una contrapposizione tra Nord e Sud, tra regioni. L’economista Busetta due settimane fa ha lanciato una proposta interessante: ha detto che oltre a far ripartire i cantieri e i negozi dove ci sono meno contagi, si potrebbe anche pensare di trasferire al Sud, colpito molto meno dal coronavirus, anche una parte delle produzioni del Nord. Pensiamoci”.

Sono usciti dal carcere alcuni boss condannati al 41-bis, come nel caso di Bonura e Zagaria. Il capo del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, si è dimesso. E il nuovo decreto Bonafede, che prevede un passaggio con le procure antimafia, dà la sensazione di commissariare i tribunali di sorveglianza. Che sta succedendo nelle carceri?

“L’idea di sottoporre le decisioni della magistratura di sorveglianza al parere di altri organi giurisdizionali, magistratura inquirente e Dna, è lesiva dell’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Preoccupazioni che non sono solo le mie, ma che sono state espresse anche dall’Associazione Nazionale dei Magistrati di sorveglianza. Su temi così importanti occorrerebbe più razionalità che emotività. Occorrerebbe soprattutto un ministro adeguato, che ascolta. Ho chiesto l’11 marzo in Senato, con Bonafede in aula, la rimozione del capo del Dap. Si è dimesso Basentini solo due giorni fa dopo una rivolta nelle carceri con 13 detenuti morti, 40 poliziotti feriti, evasioni di massa, 600 posti letto distrutti e danni alle strutture per 60 milioni di euro e una gestione complessiva disastrosa del sistema carceri. Anzi, colgo l’occasione per fare i migliori auguri di buon lavoro al dottor Petralia, nuovo direttore del Dap, sperando che sappia avviare delle misure straordinarie che intervengano sui numeri, sul sovraffollamento, sulla mancanza di spazio vitale nelle celle, sul controllo dell’elevato numero di decessi e suicidi, sulla mancanza di formazione e rieducazione dei detenuti, tutte misure da attuare con estrema urgenza e in linea con il dettato costituzionale dell’articolo 27”.

Dall’inaugurazione del Morandi viene fuori un’Italia a due velocità anche sulle Infrastrutture. Il vice ministro Cancelleri chiede l’applicazione del Modello Genova per tutte le opere del Meridione. In Sicilia sono tantissime le incompiute (Himera, Palermo-Agrigento, ecc). C’è modo di uscirne?

“Il 20 febbraio, tre mesi fa, abbiamo presentato il nostro disegno di legge per un piano shock per l’Italia, 120 miliardi di opere da Trento a Ragusa da avviare con fondi già disponibili. Cantieri che si potevano aprire già ieri. Abbiamo indicato come modello quello dell’Expo, per sbloccare i procedimenti di autorizzazione, velocizzare le gare d’appalto, rendere più fluide le modalità di realizzazione delle infrastrutture strategiche. Adesso però dobbiamo smettere di parlare e iniziare a fare. Noi siamo pronti e spero che il nostro disegno di legge diventi patrimonio di tutto il parlamento e legge del Paese. Apriamo i cantieri, chiudiamo le polemiche. E soprattutto ricordiamo a chi pensa che il modello “Genova” sia irripetibile, come la ministra alle Infrastrutture De Micheli, che non è vero e che i 120 miliardi per le infrastrutture nei cassetti stanno insieme a progetti esecutivi, sono opere pronte a partire immediatamente”.

L’erogazione della Cassa integrazione in deroga ha grossi limiti, soprattutto in Sicilia. Conte ha chiesto la collaborazione delle Regioni, l’assessore Scavone ha detto che l’Inps è in difficoltà (pur ammettendo che la piattaforma utilizzata dalla Regione non è il massimo). Ma così i lavoratori muoiono di fame. Di chi sono le responsabilità?

“Quando su 137 mila domande di cassa integrazione in deroga ne sono state esaminate solo 3.372 e i pagamenti sono arrivati a qualche centinaio di lavoratori non si può parlare di piccolo incidente o disguido tecnico. Siamo di fronte a un governo regionale che naviga a vista mentre la gente affoga. Siamo alle solite: un provvedimento utilissimo che, però, nell’applicazione concreta, non ha visto riscontrato l’intendimento egualitario immaginato. Urge un intervento del governo per rendere veramente democratico lo strumento e per accelerare i tempi dei pagamenti. Lo abbiamo proposto e continueremo a farlo fino allo sfinimento: stop stupidità burocratica e unico ammortizzatore per tutti i lavoratori senza alcuna distinzione. È intollerabile che c’è chi ha già percepito le risorse indispensabili al sostentamento finché non si tornerà al lavoro e chi non sa ancora quando le percepirà. Se sei fortunato e vivi in una regione che procederà speditamente, bene, altrimenti finirai nella categoria dei più sfigati e creperai di fame prima di vedere le prime risorse. E poi i paradossi: ci sono stati datori di lavoro che hanno percepito il bonus di 600 euro quando ancora i loro dipendenti non hanno avuto pagata la cassa. Incredibile ma vero”.

Lo stress test della burocrazia e delle banche. Fino a 19 adempimenti per chiedere un prestito. È tollerabile in tempi di guerra?

“L’urlo di dolore che ci arriva dalle imprese, dagli imprenditori, quelli che proprio Papa Francesco ha ricordato durante la sua preghiera del primo maggio, quelli che considerano i lavoratori i propri figli, non posso far finta di non sentirlo. Non è un Paese serio se risponde al coronavirus con un elefante, un pachiderma. La burocrazia è peggio del Covid, perché quando per ricevere 25 mila euro occorrono 19 documenti, oppure, come mi è stato segnalato ieri, quando arriva un modulo alle imprese dell’ispettorato del lavoro dove si richiede perentoriamente una sfilza di documenti e fatture da spedire in 48 ore altrimenti non si apre, questo è scandaloso. Il coronavirus soffoca, ma la burocrazia non può strangolare gli imprenditori. Italia semplice, così abbiamo chiamato la nostra proposta e la petizione che si può firmare sul sito italiaviva.it. Ma c’è anche un’altra cosa che voglio sottolineare e che riguarda il rapporto tra lo Stato e il mondo delle imprese. C’è una idea perversa di questa relazione, l’ha espressa la professoressa Mazzucato, componente di una delle tante  task force governative. Mentre i fondi del Mes arriveranno senza condizionalità, lei pensa di mettere le clausole alle imprese, trasformando lo Stato in una sorta di Stato imprenditore che decide su cosa investire e cosa finanziare. Una follia. Servono risorse a fondo perduto per le imprese, senza se e senza ma, dobbiamo intervenire su tasse, bollette e affitti”.

Musumeci all’Ars è esploso contro Sammartino, invocando l’intervento di “altri palazzi”. Voi di Italia Viva l’avete definito in maniera un po’ forte: “comportamento squadrista”. 

“Musumeci si è “crocettizzato” e il suo populismo giudiziario è inaccettabile. Le forze autenticamente garantiste e moderate, a partire da Forza Italia, dovrebbero prendere le distanze da un presidente della Regione che scelto di smettere di fare il governatore per vestire la toga, la pubblica accusa di un tribunale che esiste solo nella sua testa. Ieri è capitato a Luca, domani potrebbe capitare a chiunque, ai siciliani”.

La Finanziaria della Regione siciliana è connessa a un negoziato con lo Stato che si trascina da un paio d’anni e che mira a “rivedere” il contributo regionale alla finanza pubblica. La Sicilia merita “compensazioni” di qualche tipo per il maltolto del passato o deve prima dare segnali concreti, a partire dalla riduzione degli sprechi?

“Il governo Musumeci ha trovato in cassaforte ingenti risorse per opere infrastrutturali mai spese, non ha fatto mezza riforma, non ha una strategia per lo sviluppo della Sicilia. Siamo di fronte ad un governo regionale immobile in una regione ferma. Noi, per quel che ci riguarda, non ci fermiamo. Per le regioni a statuto speciale prevederemo nel prossimo decreto circa 2 miliardi. Quindi in quota parte rientrerà anche per la Sicilia. Così come la previsione è di tre miliardi e 400 milioni per i comuni in tutta Italia (restituzione 400 milioni anticipazione risorse per i bisognosi) e 500 milioni per le aree metropolitane. Ma ripeto, la Sicilia non può stare un minuto in più con il cappello in mano ad aspettare i soldi da Roma o dall’Europa. Questa isola ha tutte le caratteristiche per ripartire e bene, anche alla luce di una emergenza sanitaria che, rispetto alle altre regioni, è stata molto contenuta. Occorre però una classe dirigente all’altezza, che non gioca allo scaricabarile e che si assume la responsabilità delle scelte in prima persona”.