Son tempi grevi al Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Le dimissioni “indotte” di Francesco Basentini, dopo le polemiche furenti sulla scarcerazione dei boss al 41-bis per il Covid-19 (sancite dai tribunali di sorveglianza), ha scalfito ulteriormente la credibilità e la tenuta del ministro Alfonso Bonafede. Nonostante il Guardasigilli, che non aveva mosso un dito all’epoca delle rivolte nelle carceri, con tredici morti, “ora fischietta come se non stesse “scaricando” il più coerente esecutore della propria filosofia carcerocentrica” (pensiero espresso da Luigi Ferrarella ieri sul Corriere della Sera). Ma l’appagamento di Bonafede per aver determinato la cosa giusta – l’addio di Basentini – è stata turbato da una telefonata giunta ieri sera a Non è l’Arena di Giletti, dove nel frattempo andava in onda il processo all’ex capo del Dap e ai funzionari della sua amministrazione.

All’altro capo della cornetta, c’era infatti il pm della Trattativa Stato-Mafia, Nino Di Matteo, intervenuto per rivelare un aneddoto: “A giugno 2018, il ministro Bonafede mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali – ha detto Di Matteo -. Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta. Quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini”, ha proseguito Di Matteo. Ma l’attuale consigliere del Csm è andato oltre, spiegando che si preferì non dare seguito alla sua nomina a causa del mancato gradimento di alcuni mafiosi al 41-bis, come rivelato da alcune intercettazioni: “Se nominano Di Matteo è la fine”, avrebbero detto i boss intercettati. “Lei ci fa capire che il timore che a sua nomina potesse portare reazioni è stata messa da parte per un personaggio meno invasivo e forte, rispetto a lei” ha provato a incalzarlo Giletti. “Io sto riportando un fatto” ha risposto il magistrato.

Dopo l’intervento di Di Matteo, non poteva mandare la replica di Bonafede, sempre al telefono: “Sono esterrefatto nell’apprendere che viene data un’informazione che può essere grave per i cittadini, nella misura in cui si lascia trapelare un fatto sbagliato, cioè che la mia scelta di proporre a Di Matteo il ruolo importante all’interno del Ministero sia stata una scelta rispetto alla quale sarei andato indietro perché avevo saputo di intercettazioni”. Così il Guardasigilli ha cambiato la versione del pm: “Gli ho parlato della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli di cui ha parlato lui, gli dissi che tra i due ruoli per me era più importante quello di direttore degli affari penali, più di frontiera nella lotta alla mafia ed era stato il ruolo ricoperto da Giovanni Falcone. Alla fine dell’incontro mi pare che fossimo d’accordo, tanto che il giorno dopo lui mi chiese un colloquio e mi spiegò che non poteva accettare perché voleva ricoprire il ruolo di capo del Dap”, ha affermato Bonafede. Al Dap, dopo le dimissioni di Francesco Basentini (legate alle polemiche per la scarcerazione di alcuni detenuti al 41-bis per via del Covid), è stato nominato il procuratore di Reggio Calabria, siciliano di nascita, Dino Petralia. Ma, citando ancora una volta Ferrarella, “cambiare il capo delle carceri è solo un diversivo se non cambia l’idea di cosa devono essere”.

DAP: Bartolozzi (Fi), da Bonafede e Di Matteo inammissibile degrado istituzionale

“Un Guardasigilli ed un componente del CSM non all’altezza dei rispettivi ruoli istituzionali. Un battibecco televisivo, tra i due, che ha azzerato, laddove ancora esistente, l’Autorevolezza del Ministro e minato il prestigio del CSM” così Giusi Bartolozzi (FI) segretario della commissione giustizia e componente Antimafia. “L’indicazione a capo del DAP del dottore Basentini risale al giugno 2018 ed allora vi è da chiedersi quale sia il motivo di tale odierno personalistico disquisire. La mancanza di tempestiva progettualità nella gestione delle carceri al tempo del COVID19 è la vera causa delle odierne scarcerazioni di boss mafiosi, ed a prescindere dall’adeguatezza dei vertici burocratici, è senza dubbio alcuno da attribuirsi alla responsabilità del Guardasigilli. Recriminazioni per una mancata nomina ed il goffo tentativo di giustificare una scelta politica per il DAP, che non si è dimostrata certamente la migliore possibile, e per la quale chiediamo da tempo al Ministro Bonafede di rispondere al Parlamento con un atto dovuto, le Sue dimissioni. Al netto di tutto, davvero un cattivo esempio di come interpretare così alte funzioni” conclude.