Poteva succedere solo lì, in quel teatro dell’anima che è il Santa Cecilia, di ascoltare un concerto e vivere all’un tempo due  conversazioni amorose: una tra il musicista e il suo pianoforte; l’altra tra il pianista e il suo pubblico. E’ successo giovedì sera quando – per la rassegna “Play piano play”, inventata dal Brass Group per dare spazio ai solisti – è salito sul palco Mario Bellavista, noto penalista palermitano ma anche compositore e jazzista di livello internazionale.

Era veramente inutile chiedersi se il pubblico si trovava in quel momento di fronte a un avvocato prestato al mondo della musica o a un raffinato pianista solo per caso caduto nelle maglie aspre e farraginose della giurisprudenza. Quale che fosse la risposta è bastato ascoltare le prime note di “Solo”, lo spettacolo tanto atteso dagli appassionati di jazz, per essere subito rapiti e affascinati da una musica pastosa, inventata per regalare godimento e accompagnata da un corpo – quello del pianista, appunto – che scaricava nella tastiera tutta la sua passione e tutta la sua energia.

Ha suonato brani quasi tutti inediti: alcuni morbidi e delicati, come “Angelo mio”, omaggio del musicista al padre scomparso, o “Filing”, evocativo per assonanza della grande sintonia e del legame emotivo con Filicudi, suo “buen retiro”; altri più rapsodici e discontinui come “Take fire” o “A’ matto!”; e altri ancora più ritmati e impulsivi come “Four friends”, impeccabile, o “Butter and mouse”

Applausi incontenibili per il tributo ai cantautori italiani di “Albachiara” e “Domenica bestiale”, ma in particolar modo per lo splendido arrangiamento di “O sole mio”, intramontabile inno della tradizione napoletana. Bellavista lo ha portato nella casa fantasiosa del jazz e lo ha trasformato in una giostra di emozioni sempre più forti e coinvolgenti. Una vera e propria conversazione amorosa.