Doveva essere il grande contenitore dei moderati, ma qualcosa è andato storto. Così, per uno strano scherzo del destino, la Lega siciliana si ritrova nei panni del passacarte. Dopo aver ceduto la candidatura a sindaco di Palermo, che aveva allettato Francesco Scoma fino a farlo transitare nel Carroccio (da Italia Viva), e aver rinunciato a un’opportunità più unica che rara, cioè la nomination per il dopo-Musumeci (erano in lizza sia Nino Minardo che Alessandro Pagano), oggi i salviniani hanno dovuto mandare giù il boccone amaro di Catania. Dove non è bastata, per inciso, la presenza forte di altri due transfughi d’eccezione: Luca Sammartino e Valeria Sudano.

Collezionisti di voti ed ex renziani (ma anche di Pd, Udc e Articolo 4). Più che fare “due passi avanti”, come suggerisce la lettura postuma di Sudano, la Lega ha fatto tre passi indietro. Cedendo all’autorità di Fratelli d’Italia nonostante gli interventi a supporto del Comune etneo rivendicati da Salvini (a partire dal “Salva Catania”); subendo l’ostinazione di Raffaele Lombardo nel voler remare contro; e non riuscendo a rafforzare l’asse con Forza Italia, diventato più gracile all’indomani della fuoriuscita di Gianfranco Micciché.

Attorno al Carroccio hanno fatto terra bruciata. Ma è una crisi che dura da parecchio. Probabilmente dall’ingresso in squadra di Luca Sammartino. Un matrimonio sancito direttamente con Matteo Salvini – guai a rinunciare a ventimila voti – senza passare da una condivisione coi vertici regionali, e tanto meno con la vecchia guardia. Cioè con coloro che si sono spesi per la Lega ai tempi dello zero virgola. La ventata d’aria fresca catanese, che si concretizza ad agosto 2021, diventa pregnante l’estate scorsa e quasi insopportabile all’indomani del voto del 25 settembre. Forte di una moltitudine di consensi, l’enfant prodige viene nominato assessore all’Agricoltura e vice-Schifani, cedendo l’altro posto a Mimmo Turano, una new entry dell’ultim’ora.

Non è un mistero che i rapporti fra Sammartino e Minardo, segretario regionale fino all’altro ieri, fossero freddi, e non è un mistero che il vicegovernatore rappresenti anche adesso – sotto la guida di Annalisa Tardino – l’attaccante di sfondamento che Salvini non può lasciarsi scappare. La rinuncia a Valeria Sudano, sua compagna di vita e di partito, è stata avallata a malincuore da Mr. Preferenze. Che ha dovuto arrendersi alla ribellione di Lombardo e all’esuberanza di Fratelli d’Italia. Che non ha potuto opporre resistenza, o avrebbe messo a rischio la tenuta stessa del centrodestra e la sua permanenza in giunta (Schifani ci avrebbe rinunciato a malincuore). Per la Lega resta comunque una sconfitta: che si somma a quella di Siracusa, dove si erano fatti avanti sia Vinciullo che Cafeo; con quella di Licata, dove la Tardino, pur essendo di casa, non è riuscita a incassare il supporto per il proprio candidato; e anche nei comuni minori, dove gli schemi sono saltati di fronte alle impuntature dei patrioti. “Le scelte a macchia di leopardo – aveva denunciato la segretaria – possono essere tollerate se eccezionali e legate a particolari situazioni territoriali, ma non se diventano sistemiche e sleali”.

Resta Trapani, dove, nonostante gli sforzi, Turano (proveniente dall’Udc) non è riuscito a tenere a bada le pulsioni dei suoi sostenitori, che hanno scelto di fondare una lista civica e appoggiare Tranchida, il sindaco uscente del Pd. L’assessore alla Formazione si è cacciato in un bel guaio: o rinuncia alla Lega e al posto in giunta, o rinuncia ai suoi amici, presentando una lista del Carroccio che abbia una parvenza di competitività. A supporto del candidato di Fratelli d’Italia, Maurizio Miceli. La questione non è semplice da dirimere. E’ stato molto più semplice salutare l’Udc, ormai ridotto in polvere, e aderire al progetto di Prima l’Italia, nome con cui la Lega si è presentata alle ultime Regionali per indorare la pillola ai siciliani più scettici (quelli che ancora si crogiolano sui cori da stadio di Salvini contro il Sud).

Il problema è che dopo le Europee del 2019, quando anche nell’Isola le percentuali del Capitano andarono oltre il 20, la discesa è stata lenta e inesorabile. Non sono bastati l’ordine e la disciplina imposti dal senatore e commissario Stefano Candiani da Tradate – quello che “la Lega non è un autobus” – protagonista di un celebre scontro con Marianna Caronia che gli imputò di gestire il partito in maniera quasi militare (“Ha cambiato quattro partiti in due anni”, fu la replica). Non è bastato il tentativo di Minardo di sfondare al centro, fra i democristiani delusi e senza casa, per strappare fette di consenso a Forza Italia, da cui proveniva. Anche il coinvolgimento dei movimenti civici, che alcune province (in primis Ragusa e Siracusa) accolsero con entusiasmo, è durato lo spazio di una stagione (e di una gestione).  Così come la federazione con il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo: viva e vegeta fino a settembre, quando l’ex governatore accusò Salvini di aver tradito il patto. Sia in fase di composizione delle liste, che per il sostegno al progetto di autonomia differenziata.

La Lega, che non ha saputo distinguersi per l’azione di governo – chiese a Musumeci l’Agricoltura e s’è vista appioppare Beni culturali e identità siciliana, con polemiche al seguito – è stata l’artefice, assieme a Micciché, del tramonto del precedente esecutivo. E sembrava avere le carte in regola, oltre che le possibilità, per esprimere un “nome di sintesi” prima che La Russa calasse dall’alto quello di Schifani. Minardo ha preferito ricandidarsi alla Camera, mentre il nome di Alessandro Pagano, circolato per qualche giorno, alla fine è svanito nel nulla. Il politico di San Cataldo si è ricandidato al parlamento nazionale ma non ha superato l’esame.

Oggi la ricostruzione spetta ad Annalisa Tardino, eurodeputata di Licata, “che è stata tra le prime persone a credere nella Lega in Sicilia”. Ma Salvini, che continua a gestire con interesse le questioni più intricate dell’Isola (a partire dal mancato pagamento alla Cosedil per procedere coi lavori sulla Siracusa-Gela, passando per il solito Ponte), non è riuscito a sovvertire un’inerzia che lo vede all’inseguimento, se non addirittura al guinzaglio, della Meloni anche a Palermo. A Catania. A Siracusa. “La Lega ha donne e uomini che possono ambire a incarichi di responsabilità”, ha detto il Ministro annunciando il ritiro di Valeria Sudano dalla corsa a sindaco di Catania. Lo aveva detto anche con Scoma, e prima che alla Regione giungesse il momento di Schifani. Peccato che nessuno, finora, sia riuscito a intercettare questa grande bravura e abilità. A imporsi sono sempre gli altri.