Alla fine quelli del Pd si sono divisi anche sull’aumento delle indennità parlamentari. Antonello Cracolici ha votato la proposta esitata dal Consiglio di presidenza dell’Ars, e passata in aula senza troppi affanni prima che qualcuno ci rimuginasse sopra: “E’ immorale”. Macché immorale. “Questo Parlamento subisce attacchi ingiustificati per un automatismo previsto da una legge di nove anni fa – ha detto Cracolici -. Sono un uomo libero e non mi vergogno di dire che sono contro l’abolizione della norma e difendo l’autonomia di questa Assemblea”. Ma nel partito qualcuno s’è smarcato. Ad esempio i neofiti Fabio Venezia e Valentina Chinnici: “Dentro il Palazzo c’è un totale scollamento dai bisogni veri di migliaia di siciliani che con 800 euro devono arrivare a fine mese”, ha detto quest’ultima.

Per il resto l’atteggiamento dem sulla manovra approvata all’Ars dopo un tour de force è stato piatto. Come la manovra di per sé. Non ci voleva il dibattito sulla Finanziaria per misurare il battito (quasi assente) di un partito che all’indomani della sconfitta elettorale ne ha imbroccate poche. Almeno a Roma sono tornati al centro dell’attenzione grazie al caso Cospito, alle visite in carcere di Serracchiani e Orlando, alla storia del 41-bis e alla polemica sguaiata del colonnello meloniano Donzelli. In Sicilia no. Sono ai margini.

I guai arrivano da prima delle elezioni: dalla scelta di Caterina Chinnici come candidata. Una personalità debole sotto il profilo politico, senza la tessera di partito, ma con un suo stile e pochissima voglia di battagliare, che ha messo in imbarazzo alcuni colleghi della coalizione (vedi Claudio Fava) e non ha impedito ad altri (i Cinque Stelle) di scappare. E’ stata la magistrata in aspettativa, all’indomani di un sacrificio rivelatosi sterile, a sbattere i tacchi e tornarsene a Bruxelles – dove non è necessario mostrare gli occhi della tigre – a finire la sua seconda legislatura. Lasciandosi alle spalle le magagne sicule che avevano minato la sua campagna elettorale.

A partire dalla questione morale, che aveva costretto in panchina big del consenso come Giuseppe Lupo, Luigi Bosco e Angelo Villari (questi ultimi approdati sul carro di Cateno De Luca); o la questione ‘paracadutati’, gestita male e finita peggio, considerato che l’unico rappresentante di partito volato a Roma è l’attuale segretario Anthony Barbagallo, costretto a dimenarsi fra due ruoli scomodi. E che Cracolici, scavalcato da Anna Maria Furlan (sindacalista in pensione, più genovese di De Andrè), ha deciso di ritirarsi dalla contesa. E’ stato un calvario che si è trascinato fin dentro le urne, con la promessa di un regolamento di conti – da parte degli avversari di Barbagallo – spazzato via da una direzione che ha stabilito una tregua quasi forzata. Fino al prossimo congresso.

Questo appartiene al passato. C’è in mezzo un partito che fatica a esprimersi, che ha bisogno di ritrovare un’identità, che sente il gravame di una classe dirigente in parte nuova (al parlamento regionale) e in fase di rodaggio. Il bottino della Finanziaria è magro, al netto degli interventi patriottici (su enti locali e precari) e delle prebende che interessano tutti i gruppi. I dem hanno esultato per il Fondo Famiglia, “con il quale – ha spiegato il capogruppo Michele Catanzaro – potrà essere erogato un contributo regionale di 1.000 euro per le famiglie a basso reddito con almeno tre figli a carico, ed altri 200 euro per ogni figlio in più oltre il terzo. Con lo stesso Fondo è previsto un contributo ‘una tantum’ per le famiglie in difficoltà sottoposte a sfratto esecutivo”

In attesa di capire cosa vuole fare da grande, però, anche il Pd siciliano è immerso nella guerriglia che precede il congresso nazionale. Anche se il tesseramento non è stato felicissimo: circa 7 mila iscritti, per un partito sempre più distante dai problemi degli “ultimi”. I quali, dallo Zen di Palermo fino all’entroterra, continuano a reclamare un partito progressista, ma di sinistra, per riproporre le battaglie storiche: dal lavoro alla lotta alle diseguaglianze. Manifesti che nessuno ha il coraggio di affiggere. Oggi nell’Isola arriva Stefano Bonaccini, candidato e favorito per la corsa alla segreteria. Lo sostengono in tanti, quasi tutti. Ad eccezione del segretario Barbagallo, che assieme all’ex ministro Provenzano è rimasto con l’enfant prodige Elly Schlein, e lo stesso Cracolici, che invece ha deciso di sostenere la corsa di Gianni Cuperlo (che però non ha molte velleità di superare il primo varco).

Serve dell’altro per scaldare i cuori. A battere un colpo ogni tanto ci pensa Cracolici, che da presidente dell’Antimafia ha inaugurato la propria missione a Castelvetrano, terra di Matteo Messina Denaro, dopo aver litigato coi componenti del centrodestra per una serie di iniziative non “condivise”: dalla definizione di “anatra zoppa” assegnata a Schifani, passando per la modifica del regolamento. L’ultimo banco di prova è la sfida sul turismo: la denuncia di una “Cannes 2” andrà misurata col favore delle carte. Con la pretesa di un’azione politica volta a smascherare non solo i sospetti riguardanti un paio di spettacoli (il Sicilia Jazz Festival e le Celebrazioni Belliniane), ma usi e costumi di chi frequenta l’assessorato al Turismo da oltre un quinquennio, e la cui gestione è un manifesto di superficialità e ingordigia. Ed è noto. Scrutare i comportamenti, ripristinare l’etica, tenere alla larga gli affaristi, e poi finalmente riconnettersi col proprio popolo, forse sarebbe l’unico modo per uscire da uno stato d’impasse a cui molti sostenitori dem non vorrebbero rassegnarsi.

E’ grazie al correntismo smodato, a una stagione infausta di governo (targata Crocetta), alla ricerca di ‘candidati esterni’ (lo erano sia Micari che la Chinnici, ma anche Miceli a Palermo) utili a cancellare le tracce del fallimento, che il Pd ha finito per perdere centralità nella politica e nella società siciliana. E stima di se stesso. Le umiliazioni subite da Roma e da Letta con la storia dei “paracadutati”, e con la rottura pilotata coi Cinque Stelle alla vigilia della presentazione delle liste per le Regionali, ha fatto il resto. Non ha messo il partito nelle condizioni di dare garanzie e guadagnare credibilità. Certe ferite te le porti dentro a lungo. La sfida fra Bonaccini e Schlein, che verrà celebrata il 26 febbraio, potrebbe essere la molla. Invece dà la sensazione di un peso. Dell’ennesimo orizzonte beffardo. Di un altro litigio pronto a esplodere. Poi verrà il congresso regionale: l’ultima possibilità per lasciarsi tutto alle spalle e ripartire.