Dai tweet di Grillo contro Salvini a quelli di Toninelli sulle bufale istituzionali, dal profluvio di biografie social che ribaltano la storia alla violenza dei leoni da tastiera, nasce l’esigenza di ridisegnare i confini della moderna coerenza e soprattutto di capire chi potrà esserne giudice imparziale.

Accettando una vita online si accetta il rischio dello sputtanamento perenne poiché nulla è più rischioso di un passato scritto (magari di getto). La questione non è da poco dato che ognuno ha i suoi fantasmi e a nessuno piace che essi siano ripescati, magari ad arte, e rimessi in circolazione. Ciò che abbiamo seminato su Facebook o in altre lande telematiche dà, ovviamente, un’idea di chi siamo e da dove vediamo, ma appartiene, altrettanto ovviamente, ad altri ambiti, risponde a domande che ci ponevamo e che magari non ci interessano più.

La moderna coerenza fa a pugni con la politica che è arte di compromesso, quindi di tutto fuorché di coerenza: le coalizioni devono guardare al futuro fregandosene del passato altrimenti sarebbero allegre adunate di bicchieranti. Ciò non scalfisce le responsabilità di alcuni attuali esponenti di governo poiché una cosa sono le alleanze dettate dall’esigenza di governare un Paese, un’altra le minchiate sui vaccini o i piani per uscire dall’Euro via retrobottega.
Sulla vigilanza una sola certezza: non può essere affidata al cosiddetto popolo del web, creatura liquida e incolta che, come la rete a strascico, raccoglie e non filtra, depreda e non ripaga. La magistratura, come nei casi dei cretini che hanno offeso e minacciato pesantemente il presidente Mattarella, ha agilità di manovra solo in presenza di un reato. Sarebbe da folli confidare in un presidio giudiziario permanente contro le cazzate del web.

Il buon senso non si recensisce, così come la buona creanza non si coltiva sotto scorta armata. Il problema della moderna coerenza è che è un guaio che abbiamo comprato quando abbiamo scelto un sistema in cui una qualsiasi bugia resiste alla verità più solida, in cui l’articolo di un premio Nobel ha la stessa rilevanza di un post scritto da un ubriaco in mutande chiuso nella sua cameretta.