Mentre il resto del Paese comincia a parlare di riaperture, la Sicilia è sull’orlo del precipizio, come la sua sanità rimasta acefala, senza assessore, dopo che l’inchiesta della Procura di Trapani ha portato a galla un sistema di raccolta dati farlocco, che ancora oggi i massimi vertici (tra cui il presidente Musumeci) faticano a giustificare. L’ultimo tentativo di parcellizzare morti e guariti su due canali informatici differenti – quello dell’Istituto superiore di sanità, utilizzato dalle singole Asp, e quello della Protezione civile – non appare risolutivo della confusione che nelle ultime settimane ha logorato, giorno dopo giorno, la credibilità delle istituzioni.

Musumeci, però, s’incaponisce e prova a fare da solo finché non lo riterrà necessario. Dalle dimissioni di Ruggero Razza (ritenuto “il miglior assessore degli ultimi 75 anni”), ha assunto l’interim, rimpiazzato al Dasoe la dottoressa Di Liberti (ai domiciliari) con l’ingegnere Mario La Rocca (che pertanto sarà a capo di un paio di dipartimenti, anziché uno), lanciato l’Open Day su AstraZeneca: nel weekend tutti gli over 60 potranno avere accesso al vaccino senza prenotazione. Fin qui è andata bene, con un utilizzo delle fiale triplicato. L’obiettivo è cominciare a esaurire le oltre 100 mila dosi del vaccino di Oxford rimaste nei congelatori. La Sicilia è la regione col più alto tasso di rinuncia (circa l’80%) dopo alcuni casi sospetti di trombosi.

La campagna vaccinale è la priorità numero uno. Passa, però, dal coinvolgimento di farmacisti e medici di famiglia. Questi ultimi dovranno farsi carico dell’operazione nonni: ossia cercare di recuperare su tutto il territorio della Regione quegli ottantenni (circa 100 mila) che non si sono mai prenotati da nessuna parte: vuoi per la scarsa praticità coi sistemi informatici, vuoi perché riluttanti a ricevere l’iniezione. L’obiettivo è completare le prime dosi sugli anziani entro aprile: solo il 36% (a dispetto del 43% nazionale) ha completato il piano, comprensivo di richiamo. Gli over-80, fra l’altro, possono ricevere soltanto Pfizer e Moderna: il primo è molto difficile da conservare (richiede temperature rigidissime), pertanto bisognerà rifornire i medici di medicina generale con l’americano Moderna. Cioè il farmaco anti-Covid più difficilmente reperibile sul mercato (in Italia ne sono state distribuite 1,3 milioni di dosi su un totale di 17 milioni).

All’orizzonte, però, si staglia una preoccupazione che sembrava superata. Ossia la percentuale di riempimento dei reparti d’ospedale di area Covid: siamo ben al di sotto del livello di saturazione, come illustrato dall’ing. La Rocca durante l’audizione dell’altro ieri in commissione Salute, quando risultavano occupati 185 posti dei 436 in Terapia intensiva; mentre ne restavano disponibili 935 degli oltre 2 mila in area medica. “Quello che manca – ha ammesso il dirigente dell’Osservatorio epidemiologico – sono soprattutto i posti letto di terapia semi-intensiva perché questa seconda ondata ha delle caratteristiche cliniche diverse dalla prima, con una richiesta d’assistenza intermedia”.

Lo stesso commissario per l’emergenza palermitano, Renato Costa, ha spiegato che in provincia gli ospedali reggono, anche se l’indice di sovraffollamento del pronto soccorso del ‘Cervello’, per citarne uno, è fuori controllo da un pezzo. Come gli ospedali di Partinico e Termini Imerese, con le ambulanze costrette a lunghe attese. “Si resta basiti e attoniti nell’apprendere le dichiarazioni del commissario Costa e nel leggere che a Palermo non c’è stato il tracollo degli ospedali. I medici fanno salti mortali per trovare posti letto”, ha dichiarato Angelo Collodoro, vicesegretario regionale del Cimo, il sindacato dei dirigenti medici. Collodoro parla di “uno squallido teatrino con dati forniti da coloro che taroccavano i posti letto già a novembre”. Il riferimento è a La Rocca, che all’epoca pressava i manager per caricare i dati sulla piattaforma Gecos: l’invio degli ispettori nell’Isola per verificare i contenuti dell’audio su Whatsapp non ha ancora un esito certo, sebbene il dirigente, incalzato in Antimafia, parli di “sostanziale corrispondenza” fra i dati comunicati e quelli reali.

Il sottilissimo equilibrio fra arancione e rosso (che Musumeci, a parole, vorrebbe evitare) si gioca proprio sui dati. L’Asp di Palermo, nelle ultime ore, ha telefonato ai vari comuni per avere contezza dei morti. In generale si è innescato un clima di sfiducia che rende empiricamente impossibile una lettura completa e adeguata della situazione. Per di più senza il coinvolgimento del comitato tecnico-scientifico regionale, che a marzo s’è riunito un paio di volte, ma che il governo non si fila più. Secondo La Rocca “è un organo esterno” che “viene convocato quando l’assessore ritiene necessario un suo parere. Siamo già alla terza ondata e su molte delle cose che dovevamo sapere ci siamo già confrontati”. I pareri degli scienziati arrivano solo sulla stampa. E l’ultimo è di ieri, su Repubblica: “Non prevediamo un calo di ricoveri nei prossimi dieci giorni, di certo non ci sarà un liberi tutti per andare a fare la scampagnata del 25 aprile”. Ma se il Cts non serve, perché non scioglierlo? Anche la commissione Antimafia di Claudio Fava ha provato ad approfondire la questione.

Ma non si è fermata all’attualità, ha guardato oltre. Ha tentato di fare chiarezza sull’operato della Centrale Unica di Committenza, che ha stabilito di far proseguire alcuni appalti (alcuni dei quali coinvolgevano imprese finite nell’inchiesta Sorella Sanità, mesi addietro) per consentire il funzionamento della macchina sanitaria; ma soprattutto vuole vederci chiaro sul lavoro del soggetto attuatore dell’emergenza Tuccio D’Urso. Il quale, delegato da Musumeci, è a capo di una struttura che gestisce 240 milioni di euro e progetta 79 cantieri per il potenziamento degli ospedali. Per evitare che il malaffare o il clientelismo si annidino nelle piaghe dell’emergenza, il presidente Fava ha già chiesto tutta la documentazione relativa agli appalti per la fornitura di presìdi sanitari (un paio di affidamenti diretti sono finiti nelle carte dell’inchiesta romana che coinvolge, fra gli altri, l’ex ministro Saverio Romano) e agli incarichi conferiti dall’ingegnere D’Urso a professionisti e consulenti: sotto la soglia di 75 mila euro non sono necessarie gara a evidenza pubblica. Su questo fronte indaga anche il Pd, che ha presentato un’interrogazione parlamentare urgente, denunciando “287 incarichi irregolari”, e invitato il presidente della Regione a revocarli per evitare danni all’erario.

Anche a cercarla, non c’è una cosa che fili per il verso giusto: dai dati agli ospedali ai vaccini, questa terza ondata si è trasformata per la Sicilia in un autentico calvario, che nemmeno la zona rossa prossima riuscirà a lenire. Tutt’altro. I provvedimenti attesi per la Sicilia, che porterà alla chiusura di altre attività per almeno un paio di settimane, sarà l’ennesimo duro colpo nei confronti degli operatori commerciali. E ritarderà di almeno un mese il processo d’apertura che le regioni e il governo Draghi vorrebbero far scattare dai primissimi giorni di maggio, con il ritorno della zona gialla. In tutto questo Musumeci continua a esercitare la carica di presidente della Regione, di commissario Covid e di assessore alla Salute. Sta già dimostrando di non farcela: l’altro giorno, infatti, ha già dato buca al primo appuntamento della serie, in sesta commissione, dove le forze d’opposizione avrebbero voluto conoscere da lui – il presidente/assessore – e non dai tecnici la situazione della sanità siciliana. Musumeci, però, si è defilato, rimproverando la presidente Margherita La Rocca Ruvolo per la convocazione: della serie, “meglio evitare, siamo sotto tiro”. “Ma il presidente non può esercitare il compito della sanità nel tempo libero”, è stato il commento a voce alta di Antonio De Luca, parlamentare dei Cinque Stelle. Lo avranno pensato in tanti.