L’ultimo caso – poveretta! – è quello di un estetista abusiva di Ficarazzi, nel Palermitano, che aveva sfilato allo Stato 12 mila euro grazie al Reddito di cittadinanza. Non è la prima, e ovviamente non sarà l’ultima. Di furbetti del Reddito se ne contano a migliaia. Le revoche, dall’inizio della misura (marzo 2019) sono circa 123 mila. Secondo l’ultimo rapporto della Guardia di Finanza su sprechi e truffe nella spesa pubblica, riferito al 2020 e ai primi otto mesi del 2021, 217 milioni sono andati in fumo grazie alla misura introdotta dal governo gialloverde: 127 sono stati indebitamente percepiti; 90, invece, riguardano i benefici richiesti e non ancora riscossi. Per la cronaca, i finanzieri hanno rendicontato una truffa allo Stato da 15 miliardi, per lo più in periodo “morto”, con la pandemia in corso d’opera. Come conferma il generale Giuseppe Arbore, capo del Reparto che dispone e coordina le verifiche, “la platea già rilevante dei soggetti destinatari di risorse pubbliche è aumentata enormemente con il Reddito di cittadinanza e si è ulteriormente accresciuta con le misure previste dai decreti “Sostegni” e “Ristori”. Non sono furberie, ma un gravissimo danno economico e sociale”.

La Sicilia è la seconda regione d’Italia per platea di beneficiari: i dati aggiornati al 31 agosto, parlano di 556 mila percettori. Di essi, solo 130 mila sono stati convocati nei Centri per l’Impiego, 106 mila sono arrivati alla firma del Patto per il lavoro e appena l’1% (6.660 persone circa) ha trovato un’occupazione. Ed è di fronte a questa evidenza, scannerizzata da altre ricerche, che s’infrange il sogno di uno “strumento di civiltà”, come l’hanno definito i Cinque Stelle. Ma c’è un altro elemento roboante che, per un attimo, dovrebbe indurre a una riflessione profonda, mettendo da parte le ideologie più sterili. Dall’inchiesta di Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, infatti, emerge che “gli affiliati ai clan sono evidentemente specializzati nel riuscire a ottenere il Reddito. A Reggio Calabria molte delle 300 persone denunciate per aver percepito le somme sono «‘ndranghetisti organici alle maggiori cosche della locride, già gravati da pesanti condanne passate in giudicato per associazione per delinquere di stampo mafioso». Uno di loro girava in Ferrari, altri due sono «detenuti per associazione di stampo mafioso». A Palermo su 1.400 percettori abusivi che hanno sottratto un milione e 200 mila euro allo Stato «145 hanno precedenti condanne per mafia»”. Assurdo.

Ogni tentativo di appellarsi a questi numeri – nudi e crudi – è un’operazione di tracotanza rispetto ai concetti cardine dell’equità e della giustizia sociale. Basti pensare che il 56% dei veri poveri, come li ha definiti la Caritas, non trova spazio nella platea del Reddito. Per questo viene da chiedersi: ma questi tre milioni di beneficiari, a quali categorie appartengono? Di sicuro il Reddito non è risultato una misura efficace per famiglie con numerosi figli a carico, tanto meno per i nuclei del Nord Italia, che vengono equiparati a quelli del Sud pur avendo, il concetto di povertà assoluta sancito dall’Istat, delle venature profondamente diverse. Un povero al Nord guadagna più di un povero al Sud, ma non per questo è meno povero. L’assegnazione del sussidio, invece, parte da un pre-requisito uguale per tutti: cioè che il richiedente deve poter dimostrare guadagni inferiori a 780 euro al mese (si parla di single). Senza ricalibrare gli aiuti sul tenore di vita. Il Ministro del Lavoro Andrea Orlando, del Pd, ha promesso di metterci mano. Ma questa è una mossa che potrebbe nuocere al Mezzogiorno, che fin qui rappresenta la fetta maggiore dei poveri assistiti: il 66%.

Ci sono altre questioni che attengono più propriamente alla fase-2. Cioè le politiche attive e la reimmissione sul mercato del lavoro. Quella che renderebbe davvero il Reddito di cittadinanza uno “strumento di civiltà”. Ma c’è un dato che sconforta: nonostante l’economia italiana – in questa prima fase post-pandemica – stia crescendo del 6%, e nei primi sei mesi dell’anno si sia creato mezzo milione di posti di lavoro, l’esercito dei percettori del Reddito ha continuato a gonfiarsi. Fra gennaio e agosto sono 1,67 milioni le famiglie che hanno ricevuto almeno una mensilità del sussidio, più 5,7% rispetto al drammatico 2020. Da qui un’altra domanda senza risposta: come si giustifica questo trend? Perché i percettori del Rdc sono gli unici a non trovare lavoro? Una spiegazione l’ha data l’Inps tempo fa, quando ha asserito che due terzi dei percettori non è impiegabile (fino al 7% fra loro non ha la quinta elementare e un terzo non ha la terza media).

Ma gli altri? Al momento vengono tenuti a spasso anche i più volenterosi, come dimostra la manifestazione di qualche giorno fa, in piazza Pretoria, a Palermo, da parte di alcuni beneficiari che chiedono al Comune di essere utilizzati nei Puc, i piani di utilità collettiva: “Palermo è nel degrado e noi che costeremmo zero euro non veniamo impegnati. Tanti comuni si affidano ai percettori del reddito e invece il comune di Palermo no, tutto assurdo. Vogliamo far passare il messaggio che non siamo dei parassiti. Vogliamo solo lavorare, non chiediamo altro. Noi già facciamo puliamo alcune ville di Palermo e attendiamo che il comune possa darci altri incarichi”. Assurdo anche questo. Nonostante i Comuni non siano in grado – da soli e a causa delle ristrettezze finanziarie – di avviare progetti di pulizia, scerbatura, manutenzione, nessuno immagina di impiegare questa gente in piccoli lavori di decoro urbano e di contrasto al degrado. L’estate scorsa solo il 38% dei 390 comuni siciliani aveva avviato i Puc. Ma la giunta Orlando non ha mosso un dito.

In un contesto così amaro e controproducente per le finanze pubbliche, la spesa per finanziare la misura si è ingrossata fino a raggiungere i 700 milioni al mese. E ha costretto il governo Draghi, in sede di approvazione del decreto fiscale, a una “ricapitalizzazione” di 200 milioni fino al 31 dicembre. I soldi non bastavano, ne serviranno degli altri. Questa decisione è stata “impugnata” da molti partiti della maggioranza – in primis Lega, Forza Italia e Italia Viva – ma l’unica promessa che sono riusciti a strappare Giorgetti, Brunetta e Bonetti è di riparlarne più avanti. Con la Legge di Bilancio di fine anno alcune peculiarità del sussidio andranno riviste. A partire dalla congruità dell’offerta: fin qui i pochi fortunati che sono stati convocati dai navigator nei Centri per l’Impiego, e hanno firmato un patto di disponibilità al lavoro, hanno goduto della facoltà di rifiutare tre offerte e mantenere, comunque, il beneficio. La legge dice che non è possibile. La terza bisogna accettarla, pena la decadenza.

Ma i criteri di condizionalità si sono scontrati con la pandemia (da cui deriva il blocco dei licenziamenti, rimosso solo di recente), e con tutte le difficoltà tecniche e organizzative dell’Anpal, come la creazione di una piattaforma in cui collegare le competenze dei singoli alla richiesta delle aziende. “La congruità dell’offerta per una fase iniziale potrebbe essere un po’ rivista”, ha detto il Ministro Orlando, ma bisogna stare attenti “perché c’è il rischio che alcune persone si trovino costrette a lavorare in condizioni di dumping salariale. Ci vuole cura nel determinare dove si mette l’asticella di ciò che è un’offerta congrua”. L’idea è di tagliare parte dell’assegno già al primo rifiuto, che non sarà più necessariamente per un lavoro da minimo tre mesi, ma potrà passare a due mesi.

Sui salari, invece, non si è mai arrestata la polemica coi datori di lavoro. Lo storico Bambar di Taormina, a fine estate, è stato costretto a ridurre gli orari del servizio ai tavoli per effettiva mancanza di personale. I puristi del Rdc criticano le paghe disumane di certi datori, mentre la presidente di Confcommercio Palermo, tornata di recente sulla questione, conferma che “sono proposti contratti in regola ma molti preferiscono lavorare in nero, per non perdere il reddito di cittadinanza. Pur comprendendo che ci debba essere uno strumento a tutela di chi non ha lavoro – ha detto Patrizia Di Dio a LiveSicilia – lo stesso non può danneggiare la categoria sana dei datori di lavoro”. E ha aggiunto: “L’attuale sistema del reddito di cittadinanza consente un perverso scambio ‘pattizio’. Così gli imprenditori sani e corretti piangono due volte: da una parte non trovano personale da mettere in regola; dall’altra c’è il pericolo di una concorrenza sleale da parte di chi offre lavoro non regolare e quindi con un costo del lavoro più basso”.

La politica sulla questione si ‘scorna’ senza arrivare al dunque. Salvini, che da settimane sostiene una riforma sostanziale della misura, ha detto che “garantirlo a chi non può lavorare è sacrosanto: disabili, invalidi, persone in difficoltà. Il problema è che gli abusi e i furti sono quotidiani, per cui regalare miliardi di euro a chi magari arriva dall’estero e fa un salto in Italia e torna a casa, mantenuto a spese degli italiani, non è possibile”. Renzi, che ha denunciato il voto di scambio ad opera dei grillini, continua a manifestare la sua contrarietà, come la Meloni che ne ha parlato più volte come il nuovo metadone di Stato. Mentre i Cinque Stelle, con una certa complicità del Pd, continuano a fare orecchie da mercante. Si rifugiano nel contraddittorio fra ricchi e poveri. Accusano gli avversari di voler rovesciare il sistema del welfare. Senza però guardare oltre. A fine ottobre arriverà la relazione della commissione ministeriale guidata dalla sociologa Chiara Saraceno. Quello sarà il vero snodo di una riforma che anche il premier Draghi – che per il momento non ha alcuna voglia di rendersi impopolare – auspica.