Sono stato lì, ad attendere il momento della fatidica domanda. Quella – per intenderci – che si aspettavano milioni di italiani (alludo a coloro che, come me, ancora inutilmente scrutano le immagini e le parole filtrate dallo schermo piatto colorato…). Attendevo il momento in cui “mitraglia” Mentana – così era soprannominato quando lavorava in RAI – avesse, muso duro, affrontato la questione. Come Nanni Moretti, nel film “Aprile”, ripetevo a me stesso: “Dai, Enrico! Adesso devi dire qualcosa di sinistra… reagisci! Non farti incartare dalle parole! Almeno una domanda di civiltà… Anche qualcosa che non sia di sinistra, ma che consenta di fare capire al Paese tanti perché…” Ebbene, nulla.

Trascriverò, qui di seguito, la risposta alla domanda “presa di petto” (testuale) dal Mentana con un distaccato laconismo simile a quello del bianco osso di seppia e con la coscienza dell’intervistatore che “c’è tanto di quello che è rimasto fuori dal libro…”. “Perchè ha voluto scrivere quelle parole sull’innamoramento di Falcone?”

La risposta: “Domanda difficile e inevitabile… provo a… anche se non me l’avesse fatta, l’avrei chiesta io… e sa perché? Perché ancora una volta io mi devo mettere a nudo… devo dirlo con la mia faccia, visto che è stato detto tutto e di più… e la cosa che più mi ha ferito – devo dire – e poi le rispondo sul perché… perché io ho un perché l’ho fatto… è che non immaginavo… sai, c’è questa voglia… come dire? di sporcare… di… di… di creare scandali dappertutto… ed è una deriva… ora… a parte la storia con Giovanni Falcone… è la deriva che mi dispiace, come lettore e come lettrice… vedere che…”.

A quel punto, il “mitraglia” Mentana – nella visibile difficoltà della sua interlocutrice che nulla riusciva a spiegare ai suoi spettatori – cercava di andarle in aiuto. “Se posso in qualche modo sorreggerla ed in qualche modo anche no…”. No, O mio pur eccellente anchorman di navigata esperienza. Ci sono cose che non si possono proprio sorreggere, soprattutto quelle che nessuna altra motivazione hanno se non nella vacua e patetica vanità.

Come sempre valga l’antica regola romana dell’Ecclesiaste: “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”. Per chi non abbia familiarità con la lingua di Cicerone significa, più semplicemente, che la vanità può giocare brutti scherzi a chi arriva ad una certa fase della vita.

Comprendo la Boccassini. Non ha saputo e potuto rispondere perché l’impulso che l’ha guidata è lo stesso che mosse Gérard de Nerval allorché spiegò al suo amico la necessità di raccontare “prima che svaniscano, nell’eternità del silenzio, persino i colori dei nostri ricordi…”. Ma la Boccassini non ha avuto – purtroppo per lei – l’uguale ed adeguata poeticità, ma tanta pateticità. Prendo a prestito le sue parole (della Boccassini, intendo): “…Perché ancora una volta mi devo mettere a nudo…”. No, gentile collega, si rivesta. Denudarsi – soprattutto ad una certa età – fa sembrare ridicoli…