La rivolta dei migranti a Siculiana – c’è scappato anche il morto: un giovane eritreo – ha procurato il primo strappo, considerevole, fra alleati di governo. E ha garantito un assist fenomenale a Matteo Salvini, che è stato il primo a ri-postare su Facebook la protesta dei Cinque Stelle siciliani contro la gestione dell’emergenza da parte del Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. “Deve farsi da parte”, è stato il consiglio, nemmeno così velato, da parte dei grillini. Ma anche il “capitano” in Sicilia ha le sue belle grane. Per chi credeva che la tempesta delle Amministrative fosse solo una parentesi, da archiviare d’amore e d’accordo dopo un eventuale ballottaggio (o anche prima), si sbagliava di grosso: i rapporti fra la Lega e Diventerà Bellissima, il movimento di Nello Musumeci, sono tornati a deteriorarsi all’indomani della passerella sul red carpet di Palazzo Chigi, che ha dato al presidente della Regione una grossa quantità di apparizioni televisive, ma risultati modesti. Anzi, a leggere le parole del segretario regionale del Carroccio, Stefano Candiani, solo “una caterva di promesse e anche qualche mancetta per fare stare buoni i siciliani e i lampedusani in particolare”.

Le vicende di questi giorni hanno lasciato cicatrici profonde sulla politica siciliana. Eppure il tema dei migranti è di per sé dirimente negli assetti ideologici delle parti politiche. Tranne per i Cinque Stelle, che in pochi mesi, durante il transito dal Conte-1 al Conte-2, hanno dovuto rivedere profondamente le proprie posizioni sul tema. Non più porti chiusi per tutti, come ai tempi del governo gialloverde, bensì posizioni più caute, umanitarie, senza isterie. Appiattendosi – onore al merito: per una volta non avviene il contrario – su quelle del Partito Democratico. Ma a tutto c’è un limite e dopo aver vissuto sulla propria pelle, e all’interno dei propri confini, il “dramma” della promiscuità e delle fughe, e aver versato lacrime per un ventenne morto, una presa di posizione si è resa necessaria. Forte, chiara e senza infingimenti: “Le strutture di accoglienza sono totalmente insicure e inadeguate, non all’altezza di un Paese civile: Conte valuti se chiedere alla Lamorgese di mettersi da parte”, hanno scritto in una nota i deputati M5s all’Ars. Messaggio inequivocabile, che assume una connotazione ulteriore se rapportato a quello che in queste ore, e nei prossimi giorni, potrà accadere a Roma.

E’ difficile, però, che un’uscita del genere non sia stata concordata ai piani alti. Che i vari Cancelleri e Di Maio non l’abbiano saputo in anteprima. Il Viminale oggi costituisce una delle caselle più ghiotte da occupare e il tema della sostituzione della Lamorgese, un ministro che si è rivelato troppo incerto nella gestione dell’emergenza, sarebbe tornato d’attualità fra qualche settimana. Magari all’indomani delle Regionali, che potrebbero sancire un ulteriore indebolimento dell’asse col Pd (già traballante). Ma l’uscita dei Cinque Stelle non può ridursi soltanto a un mero calcolo opportunistico. In parte è dettato da una necessità: uscire dall’immaginario collettivo di partito stereotipato. Non soltanto nella forma – le ultime rivoluzioni approvate su Rousseau ne sono un esempio tangibile – ma anche nella sostanza. Sui temi. Va bene elogiare Conte ogni giorno, ma il capitolo immigrazione merita da parte del governo nazionale un approfondimento ulteriore. Che non può fermarsi alla retorica e alle promesse, ai tamponi e alle navi quarantena. O allo sgombero di qualche hotspot.

Il senso della misura – Musumeci ne è l’emblema – salta in aria come un tappo di spumante di fronte alle solite avvisaglie: “Da tempo – hanno scritto i deputati nella nota di venerdì – chiediamo al ministro e alla Regione un cambio di passo nella gestione del fenomeno. Al premier Conte, che sta operando benissimo in tantissime direzioni e in un contesto storico difficilissimo, il nostro incondizionato appoggio, ma anche un messaggio: il delicatissimo ruolo al Viminale, specie in un frangente delicato come questo, non può essere affidato ad un tecnico. La misura è colma, non è possibile che fatti come quello di Siculiana accadano o, peggio, si ripetano: il Viminale va affidato a chi ha la forza di prendere decisioni e non lascia tutto in balia degli eventi”. La Lamorgese, tradotto in altri termini, non è carne né pesce. E lo stallo in cui versa la Sicilia – da mesi ormai – è lapalissiano. E dà persino al M5s il diritto di “osare”, di mettere in dubbio l’operato del governo amico, di sotterrare per una volta le lodi e sganciare la “bomba”. Il Capo del Viminale è un tecnico, per questo il rapporto col Partito Democratico non dovrebbe risentirne. Non direttamente e, soprattutto, non a Palermo, dove il livello d’affiatamento raggiunto in questi mesi è notevole.

Ma per la serie “cose incredibili e dove trovarle”, anche lo strappo fra Lega e Diventerà Bellissima ha del clamoroso. Soprattutto alla luce del clima instaurato da Musumeci una decina di giorni fa, con la famosa ordinanza di cartone (perché priva di rilievo giuridico) che imponeva la chiusura dei porti e lo sgombero dei centri d’accoglienza. A nulla valse l’impugnativa del governo “nemico dei siciliani” e la sospensiva del Tar “compiacente”: era il punto più alto, l’idillio, con Matteo Salvini. Che aveva ricondotto il prode governatore sui temi fondativi dell’ex Ministro dell’Interno, e del Carroccio tutto, e non perse occasione per farne bella mostra sui social: Musumeci era diventato il presidente modello, e andava sostenuto e difeso. Una corrispondenza di amorosi sensi che sembrava aver cancellato mesi di scaramucce, coincise con l’esclusione del simbolo della Lega da tutte le coalizioni in corsa per le prossime Amministrative siciliane. Talvolta, come a Milazzo, si è trattato di voltafaccia in piena regola, che avevano spinto il segretario regionale Stefano Candiani a percorrere strade alternative e presentarsi, spesso da solo, al giudizio degli elettori. Accadrà, per l’inciso, anche a Marsala ed Agrigento.

Ecco. La deriva salviniana di Musumeci – stessi toni, stesse impuntature – sembrava aver cancellato i dissapori, ma è bastato che il presidente della Regione si avvicinasse a Roma, e trattasse amorevolmente col governo nazionale, per far imbizzarrire il quartiere generale di Pontida. “Il ‘basta slogan’ scandito da Conte davanti a Musumeci – ha analizzato Candiani, a freddo – è una bacchettata arrogante da parte di chi non ha totalmente idea delle situazione drammatica degli hotspot siciliani e la riprova è che all’isola di Lampedusa e alla Regione siciliana non è stata proposto nessun percorso concreto di svuotamento dei centri di accoglienza e di gestione del flusso migratorio”. Altro che soddisfatto a metà, come s’è dichiarato Musumeci a fine match. “E’ evidente che a Roma pensano di risolvere il problema trasferendo qualche migrante all’hotspot di Lampedusa alle navi che dovrebbero raggiungere l’isola e di ripetere il giochino se si dovesse ripresentare il problema”, è la sintesi di Candiani. E così, in un attimo, il “compagno di viaggio ideale” (mutuando una dichiarazione di Nino Minardo, a ‘La Sicilia’) diventa un’appendice tossica. Sul tema la Lega non ammette repliche, solo posizioni nette.

Un altro motivo di scontro, fra Musumeci e Salvini, è la presenza di un gruppetto di “lumbard”, mercoledì sera, di fronte alla sede della presidenza del Consiglio. Il governatore non avrebbe gradito, Aveva già deciso di condurre la trattativa in modo serrato ma sobrio, senza cedere a omologazioni preventive già fuori dal palazzo. Per non indispettire Conte e i ministri, e per convincere se stesso che dietro l’emergenza sanitaria non ci fossero sterili manifesti di propaganda. Dall’altra parte non l’hanno presa bene: “Siamo la Lega – ha spiegato a Repubblica il deputato di San Cataldo, Alessandro Pagano – siamo il primo partito d’Italia. La nostra linea sull’immigrazione è chiara, non abbiamo bisogno di autorizzazioni per manifestare”. Quanto accaduto rischia di lasciare il segno e riaprire vecchie ferite. Il presidente della Regione, che non fa nulla per ridimensionare lo scontro in atto, dal palco di Agrigento (teatro di un convegno di Diventerà Bellissima) è tornato sulle Amministrative: “A volte l’egoismo di qualche partito o l’irresponsabilità di qualche candidato sindaco non ha consentito che la coalizione fosse unita”.

Come se non bastasse, ha dato indicazioni per il ‘no’ al referendum sul taglio dei parlamentari: “Pensate che possa albergare in qualcuno di noi l’idea di potere sposare le follie populiste e demagogiche dei grillini? Perché se tagli 200-300 parlamentari quelli che restano sono migliori? Non possiamo mai diventare complici di questa follia: vanno tagliati i privilegi degli eletti. L’eletto dal popolo è sacro, non si elimina”. Ufficialmente la Lega ha idee diverse. Tasselli che si aggiungono al puzzle. La resa dei conti è in programma il 5 ottobre, alla conclusione dello spoglio, che determinerà per forza qualche muso lungo. Intanto la federazione fra i partiti si è annacquata. Tutta colpa di Lampedusa.