Nel 2022, con una pandemia quasi alle spalle, si pensava che ci si fosse trasformati molto velocemente negli ultimi anni, raggiungendo delle tecniche lavorative, di compravendita e di comunicazione che fino a poco tempo fa sembravano futuristiche. Ma a scuotere ulteriormente gli animi è arrivata una guerra, non che non se ne vedessero da un po’, ma stavolta un po’ più vicina all’occidente, e le risposte sono state altrettanto futuristiche, affiancando quelle più pragmatiche militari e diplomatiche.

Il mondo occidentale ha sanzionato la Russia, con quello che poteva: dal reparto tessile, alle industrie automobilistiche, dal mondo del lusso fino ai socia¬¬l e alle serie tv. Gucci, Apple, Nike, Ikea, Zara, Dior, H&M, Mango, Bottega Veneta, Samsung, Amazon. I cittadini russi non possono più vedere film o serie su Netflix, o sui canali Disney, e non possono postare messaggi su Facebook o Twitter.

Le sanzioni occidentali e la fuga dei brand occidentali dal mercato russo, oltre che provocare dei danni agli stessi marchi di moda, avranno ovviamente ripercussioni anche sui tassi di vacancy dei centri commerciali di Mosca. Gli shopping mall della capitale rischiano di perdere il 30% dei marchi presenti.

In particolare, se tutte le aziende che hanno promesso di lasciare il mercato russo nelle ultime settimane sospenderanno completamente le loro attività, i posti vacanti nei centri commerciali di Mosca potrebbero aumentare dall’attuale tasso del 10% fino al 45%, lasciando cittadini senza lavoro per un qualcosa che non hanno scelto.

Ma il boicottaggio promosso da molti brand occidentali non si vede proprio del tutto e i russi facoltosi possono continuare lo shopping di lusso tranquillamente, rimanendo aperti Boggi, Patrizia Pepe, Furla, Pinko, Trussardi, così come Armani e Loro Piana. Solo Swatch, Hugo Boss e Adidas hanno chiuso, così come pronosticato.

Le prese di posizioni, quindi, non sembrano essere del tutto coerenti con la realtà delle cose Armani, per esempio, ha donato 500mila euro e vestiti ai profughi ucraini, ma fa il 30% di sconti ai clienti russi, mentre il canale e-commerce ha cessato le spedizioni per la Russia. Quindi, nonostante l’anima del commercio sia rimasta una delle poche certezze a non conoscere confini o bandiere, le aziende capitalistiche di lusso occidentali dimostrano di possederla, invece, un’anima, sottolineando il loro disappunto e il proprio punto di vista, creando in questo modo, un rapporto sincero di condivisione valoriale con la propria tribù di “acquirenti”.