La nomina di quel che resta della squadra dei dirigenti generali, alla Regione siciliana, è sempre più a rischio. Il governo vorrebbe promuovere i “terza fascia” a capi dipartimento, ma la fitta giurisprudenza che, negli anni, ha escluso questa possibilità, ha costretto Musumeci & co. all’ennesimo dietrofront. Il fumo uscito dal cunicolo di palazzo d’Orleans, al termine della riunione di giovedì pomeriggio, è grigio (tendente al nero). Gli incarichi delle figure apicali dei dipartimenti sono scaduti il 16 febbraio scorso. Prima dell’emergenza Coronavirus. Di proroga in proroga si è giunti al 28 maggio, quando il presidente della Regione ha dovuto colmare le vacatio più pesanti, nei cosiddetti centri di spesa: così Ignazio Tozzo, reduce dall’esperienza alla Corte dei Conti, è stato nominato ragioniere generale; Benedetto Mineo ha preso il posto della Cannata al dipartimento Finanze; mentre Patrizia Valenti e Dario Cartabellotta, sono stati confermati rispettivamente alla Formazione professionale e all’Agricoltura.

Per gli altri, invece, è giunta un’altra proroga fino al 15 giugno. Segno che qualcosa non va. La realtà è che la Regione si è incartata e non sa come venir fuori da un cul de sac. C’è un rischio solido da calcolare: qualora le procedure si rivelassero illegittime, infatti, si prospetta l’abuso d’ufficio. I cosiddetti “terza fascia” rappresentano una categoria già estinta, nel senso che esistono (dal 2000) soltanto in Sicilia e in nessun’altra parte d’Italia. Essendo equiparati a semplici funzionari (anche se l’ultimo parere del Cga ha espunto il capoverso “ad hoc”), non possono e non potrebbero ricoprire ruoli apicali che – per legge – sono riservati a dirigenti di prima e di seconda fascia, oltre che a dirigenti esterni nella misura massima del 30% dell’organico. Per ovviare al problema servirebbe una modifica della legge, che l’Ars non ha ancora imbastito, o svolgere i concorsi, che alla Regione però sono bloccati. Così Palazzo d’Orleans, forzando le maglie di una giurisprudenza chiara, ha promosso un atto di interpello interno per mettere in moto il turnover delle nomine. Ad oggi un giochino senza fortuna. Ma ogni giorno che passa anche le speranze si riducono.

Un altro disperato tentativo, dopo la richiesta di parere inviata al Cga che però l’ha ritenuta “inammissibile”, partirà nelle prossime ore dall’assessorato all’Economia, retto da Gaetano Armao. Si tratta di una richiesta di parere – un’altra – indirizzata all’avvocato Ninni Gallo, nel suo ruolo di presidente dell’Aran Sicilia. Aran è l’acronimo di Agenzia per la rappresentanza negoziale della Regione, che – citiamo testualmente dal sito ufficiale – “ha il compito di rappresentare legalmente la pubblica amministrazione in sede di contrattazione collettiva regionale e pertanto svolge ogni attività necessaria alla definizione dei contratti collettivi del personale dipendente dalla Regione e dagli enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza e controllo della Regione”. L’Aran interpreta contratti, non norme. Pertanto, qualora ricevesse una richiesta di parere sulla questione, non potrebbe che dichiararsi incompetente in materia. Potenzialmente, un altro buco nell’acqua.

Come l’ultimo andato in scena a fine maggio con il Cga. Era una richiesta di parere “in ordine alla conferibilità dell’incarico di dirigente generale ai dirigenti di terza fascia dell’Amministrazione regionale, messa in discussione negli ultimi anni da alcune, limitate, pronunce del Giudice amministrativo e del Giudice del lavoro”, e ciò “in applicazione del … citato art. 11, comma 5” della legge regionale n. 20/2003. Ma la sezione consultiva del Consiglio di giustizia amministrativa, è stata più che chiara: “La stessa lettura della richiesta presidenziale – si legge – palesa che il quesito in esame, che verte sull’interpretazione di una norma regionale, nasce dalle segnalate decisioni assunte dalla Magistratura amministrativa e ordinaria in contenziosi instaurati contro la Regione ed è altresì funzionale ad atti concreti, attinenti all’organizzazione regionale, quali le nuove nomine di direttori generali, potenzialmente suscettibili di generare ulteriore contenzioso (…). Di qui l’esigenza di evitare commistioni tra attività consultiva e attività giurisdizionale, assegnando al parere l’autorevolezza di un pronunciamento anticipato su una specifica questione. Pertanto, la richiesta di parere in ordine alla possibilità di conferire (…) l’incarico di dirigente generale a dirigenti appartenenti alla terza fascia è inammissibile, sotto il considerato profilo; ed ulteriore profilo di inammissibilità risiede della mancata specificazione dei rilevanti motivi di interesse pubblico”.

Perché tanta insistenza da parte della Regione? Essenzialmente, per un motivo: dei circa 1.200 burocrati a libro paga, soltanto in tre avrebbero le carte in regola per diventare capi dipartimento, essendo dirigenti di “seconda fascia”. Tutti gli altri sono di “terza”. Un dramma. Ma neppure una simile moria di figure apicali, giustifica – o più giustificare – l’insolenza nel voler aggirare le decisioni della magistratura. Il comma 5 dell’articolo 11 a cui si appella la Regione, fra l’altro, è già stato oggetto di contenzioso. Le legge regionale n. 20/2003, venuta fuori dall’Assemblea regionale, in prima istanza prevedeva la possibilità di conferire gli incarichi dirigenziali generali anche “a dirigenti dell’amministrazione regionale appartenenti alle altre due fasce”. Ma un mese dopo l’approvazione a sala d’Ercole, il commissario di Stato Gianfranco Romagnoli la impugna: “L’art. 11, comma 5, limitatamente all’inciso ‘appartenenti alle altre due fasce’, viola l’art. 97 della Costituzione”. E’ considerato dannoso sotto il profilo del buon andamento della pubblica amministrazione. L’inizio della fine.

Nel testo dell’articolo 11 comma 5 della legge regionale n. 20/2003 definitivamente approvato dal parlamento siciliano, in seguito all’impugnativa da parte del Commissario dello Stato, vigente a tutt’oggi, scompare così il riferimento ai dirigenti delle altre due fasce: “L’incarico di dirigente generale – è la versione aggiornata – può essere, altresì, conferito a dirigenti dell’amministrazione regionale (inciso omesso in quanto impugnato dal Commissario dello Stato ai sensi dell’art. 28 dello Statuto) purché, in tal caso, gli stessi siano in possesso di laurea, abbiano maturato almeno sette anni di anzianità nella qualifica di dirigente, siano in possesso di formazione professionale e culturale nonché di capacità ed attitudini adeguate alle funzioni da svolgere”.

A metterci una pietra sopra, si spera una volta per tutte, è l’ordinanza della Corte Costituzionale n.131 del 2004, che accoglie la questione di legittimità costituzionale sollevata dal commissario dello Stato e si pronuncia in maniera limpida e intuitiva: “Considerato che, dopo la proposizione del ricorso, la legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 13 novembre 2003 è stata promulgata (legge regionale 3 dicembre 2003, n. 20) con omissione delle parti impugnate, sicché risulta preclusa la possibilità che sia conferita efficacia alle disposizioni censurate”, allora “dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso in epigrafe”.

Sono passati sedici anni da quella ordinanza, ma nessuno alla Regione s’è sognato di intervenire. Nel frattempo, le proporzioni fra dirigenti di “terza fascia” e “alt(r)i burocrati” sono saltate del tutto, così i vari governi hanno fatto ricorso ai vecchi e cari funzionari per ricoprire mansioni che, in realtà, non gli spettano. Ad aver sollevato un po’ di polvere sotto il tappeto dello scandalo, è stata una recente interrogazione del deputato del Pd, Nello Dipasquale, che ha ravvisato l’ipotesi di illegittimità delle nomine. Nel frattempo, uno scherzo del destino vuole che la Regione non possa consultare nemmeno il proprio ufficio legislativo e legale, dato che, come ammette palazzo d’Orleans nell’ultima richiesta di parere al Cga, esistono dei “motivi di opportunità, atteso che tutti i dirigenti avvocati in atto in servizio presso il predetto Ufficio, compreso l’Avvocato Generale, sono dirigenti di terza fascia”. L’ultima mossa è l’Aran. Ci sarebbe l’Avvocatura generale dello Stato, ma sarebbe fiato sprecato.