Impossibile che su un fatto l’autorità costituita dia una valutazione e poi ancora l’esatto opposto della stessa.

Ogni proposizione che implichi A e la sua negazione – ovvero non-A – è falsa. Ipse dixit, è il caso di dire ma col Coronavirus siamo passati dall’#abbracciauncinese all’abrogazione della stretta di mano; dall’Amuchina prima di ogni cosa siamo arrivati all’Amuchina che non serve a niente; dall’impossibilità che il contagio arrivi dagli oggetti ci ritroviamo a lasciare le scarpe fuori dalla porta e così, sulle ali del pipistrello di Wuhan, il principio di non contraddizione cede il passo all’obbligatorietà antinomica.

Nell’epoca del Covid-19, dunque, non possiamo non dirci contradditori.

C’è tutto un frasario per non sfigurare nella conversazione. Muoiono solo i vecchi, invece no: anche i giovani. Se lo prendono solo quelli con malattie pregresse, ma a seguire ce l’hanno anche i sani. È poco meno che un’influenza, poi un’epidemia, quindi una pandemia. La natura torna a respirare, perfino la laguna, nei canali di Venezia, è trasparente. #tuttoandràbene ma intanto le persone se ne vanno all’altro mondo come le mosche. I loro cofani – le bare – sono impilati al modo della collezione dei Topolino dove, manco a dirlo, nessun papero muore mai. Come il mio amico papero Massimo Vincenzi – il capo redattore di un’intera stagione di Repubblica, vice direttore de La Stampa – che ha lasciato questa terra l’altro giorno ma è immortale, per gli infiniti valori di verità come solo i veri disneyani sanno essere.

Tautologia e polivalenze, si dirà. La stessa cronaca è un groviglio di date in contrasto, numeri inconciliabili e assalti ai forni. L’opera di Alessandro Manzoni è più mai l’autobiografia d’Italia. Ci si ritrova nelle sue pagine e non solo per la peste di Milano, o per i DPCM – i decreti – che fanno il paio con le grida, piuttosto con l’Azzeccagarbugli che si materializza, oggi, per interposta autocertificazione.

Il latinorum trasborda nella neolingua del Coronavirus e ci vincola all’imperativo della contraddizione. Così accade sulle durate delle quarantene, sulle esatte misure di distanza sociale e sulle norme igieniche se perfino sul lavaggio delle mani – sul medesimo attributo, nel medesimo tempo – circolano due proposizioni: una si regola con Happy Birthaday – da cantare due volte, mentre ci s’insapona – un’altra cronometrando l’amplesso che, Decamerone a parte, nell’acme si regola con un’approssimazione.

Un po’ è come il qb di sale e pepe nei ricettari di cucina, e nemmanco è più Eros e Thanatos il contrasto obbligato. La polarità di tutti si sfalda in una gelatinosa apnea. L’obbligatorietà di contraddizione ci costringe al paradosso esistenziale e tutto lo spasso di fuori è – ahinoi – soltanto un tribolo, a casa.

Strade vuote e piazze metafisiche che sono come i quadri di De Chirico si lasciano bagnare dalla luna e baciare dalle belle giornate, ed è uno spreco pari alla fatica che fa il sole nei libri di Achille Campanile.

Povero sole – ahilui – sfolgora come non mai, irradia i suoi luccicanti raggi, rinfocola i fuochi, abbaglia al meglio con le sfumature dell’oro, del paglierino e del giallo. S’affaccia infine all’alba per il suo spettacolo ma – ecco – a parte qualche zotico, nessuno lo vede. Dormono tutti. Tutto è un dormire, ciascuno nella propria monade, e nessuno sa cosa potranno mai dirsi in tutta questa solitudine gli incroci, i vicoli e i tram in corsa verso i deserti di A e del sua falsificante coinquilino, il non-A .

Tutto è un morire. Tutto un impossibile. Nell’esatto opposto della vita.