I numeri oscillano ma non mentono. A Palermo sono quasi 80 mila i percettori del reddito di cittadinanza. E 30 mila le persone che lavorano in nero (300 mila i siciliani, secondo la Cgia di Mestre). I primi – i divanisti graziati dallo Stato – non sentono i morsi della crisi, i secondi sì. E non soltanto loro: secondo l’ultima inchiesta di “Repubblica”, ci sarebbero altre ventimila persone, in regola, che per gli effetti del Coronavirus avrebbero chiuso baracca e burattini e non sanno più come fare. Sintomo di malessere e di un’ingiustizia che assume proporzioni imponenti. Gente che ogni giorno farcisce la piaga della disperazione. Che vede andare in fumo anni e anni di sacrifici e che, tuttavia, ha ancora qualcuno a cui appellarsi: le “infide” istituzioni. Chiedono aiuto, con voce fioca per via dell’imbarazzo. I seicento euro di bonus per le tanto bistrattate partite Iva? Sono manna dal cielo.

Il ministro Pd Peppe Provenzano, che qualche giorno fa s’è preso a cuore la vicenda dei lavoratori in nero (per i quali persino la sindaca di Roma, Virginia Razzi, prova dispiacere), ha detto che al prossimo giro bisogna mettere i soldi “in tasca agli italiani a cui non siamo arrivati”, cioè coloro che sono rimasti fuori dal decreto da venticinque miliardi che privilegia – si fa per dire, non prendetelo alla lettera – piccole e medie imprese, lavoratori autonomi e a progetto. Gente che, in un modo o nell’altro, spera di rimanere a galla. E non ha ancora smesso di lottare (viva Iddio).

Ma quella sociale è una scala a chiocciola, non sai mai chi ci trovi sotto. Ai livelli più bassi, come in un girone infernale, ci abitano – senz’altro – quelli che sentono, e rasentano, la fame. L’indigenza è il primo segnale di una società stratificata e talmente variegata da non poterla abbracciare tutta. Ieri la Regione siciliana ha dato un primo, vero segnale, stanziando 100 milioni di euro per garantire la spesa alle famiglie bisognose:  “Sono cresciuti a dismisura nella nostra Isola i nuclei familiari più fragili e maggiormente disagiati – ha detto il presidente della Regione, Nello Musumeci – quelli cioè che stanno soffrendo più di tutti la perdurante crisi dovuta all’emergenza Coronavirus. Famiglie che in parte si aggiungono alle altre 450 mila dichiarate povere in Sicilia”. Anche il governo Conte si è adeguato, rimpinguando il fondo di solidarietà degli ottomila comuni italiani con oltre 4 miliardi e garantendo buoni pasto per 400 milioni.

La gara della solidarietà è scattata pure in Sicilia: il Comune di Messina sta istituendo un fondo speciale, stornando altri capitoli di Bilancio, nonché le indennità di carica di dirigenti e politici, per dare un cenno a chi sta peggio (oltre alle card per l’acquisto di generi alimentari, ci sarà l’esenzione dagli affitti) e riabilitando una dignità spesso svampita. Lo stesso dicasi per Catania: il sindaco Pogliese ha avviato una raccolta fondi solidale, e il Comune si impegna a istituire un buono famiglia di 280 euro per la casa in affitto e un sostegno per pagare acqua, luce e gas (1,7 milioni stanziati). Anche il Comune di Palermo, facendosi interprete di parecchie situazioni di disagio, ha intrapreso una colletta alimentare, grazie al supporto di alcune associazioni di volontariato. Il sindaco Leoluca Orlando ha lanciato la proposta di un “assegno di sopravvivenza”: “Le famiglie sono allo stremo. Solo a Palermo ci sono già pervenute 2.500 richieste d’aiuto”, ha detto Gabriella Lipani, direttore dell’associazione Banco Alimentare. Sono le persone che, in situazioni d’emergenza, mettono sul piatto la dignità rinnegata, e qualcosa riescono ancora a contare. Non tutti organizzano gli assalti ai supermercati. Anzi.

Ma nelle grandi città non mancano i casi più estremi. C’è una soglia, infatti, oltre la quale si spingono soltanto gli “ultimi”, gli “invisibili”. Che è quasi impossibile descrivere, se non affidandosi a preziosi riferimenti letterari, come quelli utilizzati dallo scrittore napoletano Francesco Palmieri su “Il Foglio” di ieri. “Nel doppiofondo dell’epidemia, nel concavo risvolto della quarantena – scrive – resta celato il popolo degli invisibili. Sano o malato. Vivo o morto. Senza identità memorabile già in tempi ordinari, quel popolo si fa vieppiù impalpabile nelle statistiche dei momenti eccezionali. Sfugge alla conta dei tamponi e alle stime degli asintomatici. Non risulta all’elenco dei ricoverati e dei deceduti (di, per, o con coronavirus). Senzatetto, mendicanti, migranti, nomadi, sofferenti psichici, ma pure circensi, giostrai, ambulanti abusivi, artisti di strada, lavavetri, venditori di rose e profumi contraffatti, di fazzolettini, calzini, penne a sfera. Ma poi ancora quelli che nell’underworld occupano le posizioni meno nobili. Quelli ai confini o al di là della legge”. Che fine hanno fatto? Nessuno li ha visti.

Eppure sono esistiti, nell’indifferenza dell’universo circostante, e continuano a esistere anche adesso. Qualcuno ci lascia persino lo zampino, come nel caso di un parcheggiatore abusivo dell’ospedale Garibaldi di Catania, che è stato sin troppo onesto nell’autocertificazione consegnata agli agenti e s’è beccato una denuncia. Talmente basso, deriso, e impotente, questo mondo, da non comparire più in alcuna statistica. E in nessun pensiero. Più che “invisibili”, inesistenti. Sono quelli che non sanno del reddito di cittadinanza, e non chinano il capo di fronte all’assistenzialismo più becero. Che magari due monete provano a raccattarle per strade, meglio non sapere come. “L’ambiguità e la gamma dell’underworld – scrive Palmieri – sono state e sono inafferrabili. Non era, non è la popolazione sommersa e affaticata degli assistiti dalla Caritas, ma al contrario quella che ne rifugge perché si arrangia – da sempre – da sé in maniera fluida e per forza cinica”.

Poi ci sono “quegli altri”: gli artisti di strada, boom, svaniti. Ad eccezione dei tre francesi che occupavano la vecchia Renault 4 scassata, nella fuga temeraria da Napoli ad Acitrezza, passando per Messina. Sappiamo che si trovano in quarantena da un amico argentino: bene così. I migranti, che da un po’ di settimane hanno smesso di occupare le carrette del mare, e sono avvolti dalla nebbia delle città, fuori dai titoli dei tg; i clochard, evoluzione francese dei senzatetto, accolti in dormitorio nelle notti di gelo, e ora anche di giorno, anche se preferirebbero starsene altrove. Forse in strada, come sempre, solo che adesso non si può per via del contagio. Sai la diffidenza della gente distante un metro al supermercato? Già è difficile schivarla coi pianeti allineati, figurarsi ora.

Questi, e tanti altri, sono i veri “emarginati”. Quelli che lo Stato, gli Stati, non vedono. Lo storico Franco Cardini, ripreso dal Palmieri su “Il Foglio”, li rappresenta brutalmente in un affresco: “Gli Stati aiutano gli imprenditori, gli operai, il ceto medio e il terziario… Ma i senza dimora, i migranti? Quale interesse c’è ad aiutarli sotto il profilo socioeconomico? C’è solo un interesse umanitario da parte di chi ha una coscienza religiosa oppure di chi serba una visione etica di stampo mazziniano, o socialista, che però oggi credo siano finite piuttosto sotto le scarpe della società”. Troppo ultimi per essere veri. Abbastanza per essere soli.