Dodici venerdì sold out per Jazz sotto le stelle, la rassegna musicale promossa da Jazz Art snocciolata lungo tutta l’estate, da metà giugno a stasera, allo Stand Florio, dovesi chiude con una grande festa dedicata ai musicisti ma soprattutto al pubblico che s’è affollato all’ingresso ogni settimana: segno che Palermo tiene sempre fede al suo background jazzistico che ha radici storiche e passione salda. Dodici appuntamenti di tutto esaurito per una stagione estiva variegata, dal mainstream vocale alla ricerca strumentale, per accontentare jazzofili dai palati diversi.

Anche il jazz – come tutte le altre forme di spettacolo – in un’estate un po’ particolare, segnata dalle inibizioni e dalle regole imposte dal Covid. «Nell’estate 2019  il cartellone era stato ospitato sulle terrazze del Loggiato di San Bartolomeo – spiega Francesco Costanzo, “patron” di Jazz Art – che accompagnava al piacere della musica il colpo d’occhio del lungomare. Ma quest’anno sarebbe stato impossibile per problemi di contenimento del pubblico. Sia chiaro, lo Stand Florio, con la sua suggestione storica, non è stato certo un ripiego, anzi: ci è dispiaciuto piuttosto, per problemi legati alle norme di sicurezza sanitaria, non aver potuto sfruttare i quattromila metri quadri della sua capienza, di cui mille di sola platea sul prato all’inglese. Insomma, per ogni appuntamento abbiamo dovuto dire no o mandar via un bel po’ di potenziali spettatori, limitandoci alle 280 presenze consentite. Pazienza».

Gaetano Riccobono, direttore artistico di Jazz sotto le stelle, è ugualmente contento. Non solo per i sold out ma sopratutto per l’interesse. Da Gianni Cavallaro a Riccardo Randisi, a Gianni Gebbia, Simona Trentacoste, Pamela Barone con Alfredo Paixao, lo stesso Riccobono con Alessandro Stagno, Toni Piscopo, Mimmo Cafiero, i Periscope, Marco Grillo con Francesco Patti, Anita Vitale con Rita Collura e stasera, per chiudere, l’“esperimento” dei due sax tenori di Orazio Maugeri e Claudio Giambruno accompagnati dal contrabbasso di Alberto Fidone e dalla batteria di Claudio Vicari.

«L’intento era quello di soddisfare una fascia di appassionati del genere quanto più vasta – spiega Riccobono, docente di Canto jazz al Conservatorio Scarlatti di Palermo – dagli standard della tradizione al pop, al crooning. Ci siamo mossi principalmente su tre linee cardine: artisti siciliani, nuove leve perché è assolutamente necessario dare spazio ai giovani talenti, e progettualità, ricerca, sperimentazione. L’interesse, non solo in termini di presenze ma anche di ascolto, di attenzione, di curiosità, credo che ci abbia ripagato».

Dal suo osservatorio privilegiato di docente in Conservatorio, Riccobono non ha una visione ottimistica del futuro. «Intanto il jazz oggi è penalizzato dai media, vecchi e nuovi, dalla tv al web. Molti ragazzi che si presentano in Conservatorio sono privi di quello che io chiamo “retroterra uditivo”, quello che accompagnava i giovani della mia generazione. Alcuni poi spinti al facile successo da chi li segue sui social, sprecano spesso postando video su video un’attitudine che andrebbe meglio incanalata, addestrata, istruita. I “talent” televisivi poi hanno sparigliato ancor più le carte: chi per esempio avrebbe una vocazione jazzistica si lancia su generi diversi, dal blues al funky, al pop, che è giusto conoscere e frequentare ma senza che vengano scambiati per scorciatoie per affermarsi bruciando i tempi. Questo anche perché non tutti i Conservatori hanno attivato le cattedre di musica pop come dovrebbero e molti giovani si riversano nelle decine e decine di accademie ormai sparse in tutto il Paese che sono il più delle volte fabbriche di illusioni».

Il jazz, oggi, non ha nemmeno un grande mercato che possa creare aspettative, far sognare chissà quali carriere. «No, e anche per questo motivo i nuovi talenti sono spesso costretti a mischiare un po’ tutto – conclude Riccobono – ma senza approfondire poi niente nello specifico, come invece facevano fare a noi i vecchi maestri».