Sei anni dopo l’illusione targata Roberto Ginatta, l’ultimo avventuriero della stirpe, l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, forse, ha trovato il modo di ripartire. I tre commissari straordinari di Blutec, la società piemontese smantellata da un’inchiesta giudiziaria, hanno salutato con favore il progetto presentato da Smart City Group, un consorzio di 15 aziende (dal Piemonte alla Sicilia) che si impegneranno a riconvertire il polo industriale in chiave “green” ed ecosostenibile. E cercheranno di garantire un posto di lavoro ai circa 700 operai che combattono, tuttora, contro incertezza e precariato. “Con il progetto Sud – ha detto il presidente del gruppo, Giancarlo Longhi – si apre per la Sicilia un periodo di rilancio della crescita economica e di sperimentazione tecnologica, che sarà anche un valido esempio per un Paese che deve ripartire dall’economia circolare”.

Il piano si basa su energie rinnovabili e mobilità elettrica – sono allo studio anche iniziative che riguardano la riqualificazione ambientale del sito e i rapporti con le università in tema di sviluppo sociale, culturale e scientifico – e prevede investimenti per 200 milioni. Più del doppio di quelli concessi a Ginatta, l’ex patron dello stabilimento, che nel 2019, assieme ad alcuni complici tra cui il figlio, fu arrestato con l’accusa di riciclaggio e bancarotta fraudolenta. Secondo il tribunale di Torino, avrebbe utilizzato i 16,5 milioni destinati al rilancio di Termini (la prima tranche di un contributo pubblico da 71, concesso da Invitalia), per attività che con Termini non c’entravano un fico secco: ad esempio l’acquisto dei biglietti per le partite casalinghe della Juventus, che secondo il manager, molto amico del presidente bianconero Andrea Agnelli, rientravano nella “politica di marketing” ed era “una pratica diffusissima”.

In realtà l’ex Sicilfiat, un mito creato negli anni ‘70 da Mimì La Cavera, vulcanico presidente degli industriali, stimatissimo dall’avvocato Gianni Agnelli, da oltre un decennio assiste a un tramonto inesorabile. Termini Imerese è diventata la città della ruggine, e ancora oggi si porta dietro il fardello del fallimento. Dei fallimenti. Che, pertanto, l’hanno ridotta ad “area di crisi complessa”, sempre in coda alle prerogative dei governi – nazionali e regionali – che si sono succeduti. A Termini si ricorda un viaggio, e un comizio nemmeno troppo esaltante, da parte dell’ex Ministro allo Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che il 26 ottobre 2018 annunciò l’ennesimo piano di rilancio e la salvezza dei lavoratori. I quali, oggi, sono costretti ad esultare ogni qual volta lo Stato si ricorda di erogare l’unica prebenda possibile: gli ammortizzatori sociali. E’ accaduto, l’ultima volta, pochi giorni fa, quando 120 padri di famiglia – grazie a un emendamento al Decreto Agosto – hanno ottenuto la mobilità in deroga fino al 31 dicembre, dopo aver perso la Naspi (l’ex assegno di disoccupazione).

Di lavoro, però, neanche l’ombra. Tutta un’altra storia rispetto alla metà degli anni ’80, quando all’interno dello stabilimento, per avviare la produzione della Fiat Panda, si registrò il picco dell’occupazione con 3.200 operai. Termini era reduce da un decennio di grande lustro. La Cavera aveva inaugurato il polo della Sicilfiat (cui partecipava, al 40%, anche la Regione siciliana) il 19 aprile 1970, dopo aver presto spunto dall’esperienza non troppo fortunata di Graziano Verzotto. L’ex dirigente Eni, presidente dell’Ente minerario e senatore della Democrazia Cristiana, avrebbe voluto trasferire in Sicilia la Chimica del Mediterraneo, con tre linee di produzione parallele: bicarbonato di sodio, solfati e cromati. I segni di quella disfatta sono presenti ancora oggi sul tratto di autostrada fra Palermo e Cefalù, all’altezza di Buonfornello, dove gli scheletri dei caseggiati della Chimed – motivo di un eterno contenzioso con il consorzio Asi di Termini – fanno ancora bella mostra di sé.

Andò meglio al palermitano La Cavera. Ma a metà degli anni ’90 a Termini arriva la crisi. Sergio Marchionne, nel 2009, sospende la produzione. Così lo stabilimento registra un progressivo disimpegno da parte del gruppo Fiat e la comparsa di improbabili avventurieri che nel 2014, correva il mese di dicembre, si palesano con Roberto Ginatta, patron di Blutec. Un’azienda fornitrice della stessa Fiat, il cui piano industriale si snodava in due fasi: prima la componentistica, poi le auto ibride. In Sicilia si sarebbe dovuto produrre il primo modello di “Fiat Doblò” elettrico, come si legge nei verbali dell’inchiesta che ha portato l’azienda di Rivoli in amministrazione straordinaria. “Ad oggi non è stato ancora prodotto un mezzo Doblò elettrificato da Termini Imerese, nonostante siano stati creati alcuni prototipi. Attualmente il progetto è sospeso”, spiegava in un interrogatorio del 19 giugno 2019 Monica Genovese, responsabile degli acquisti per la regione Ema del gruppo Fca (Fiat Chrysler).

Ginatta, nel memoriale presentato la scorsa estate, sostiene che “l’iniziativa di rilevare Termini fu caldeggiata da Fiat, storico ed esclusivo cliente del gruppo Metec”. Mentre la Genovese sostiene che “avevamo scelto Blutec perché il progetto di elettrificazione che proponevano era stato valutato tecnicamente positivo e anche per dare un segnale di positività per Termini Imerese”. Parlando, tuttavia, di un’iniziativa non finalizzata “a creare utile. Era un progetto minore e a basso rischio in termini finanziari, volto a evidenziare una propensione all’utilizzo di risorse energetiche alternative, quindi per fini di marketing”. Insomma, nulla di serio. Come rivelato da Marchionne nel corso di alcuni interventi pubblici, d’altronde, Fiat non ha mai creduto veramente sull’elettrico, cioè la linea di sviluppo “individuata” per questo lembo di Sicilia.

Fca e Blutec cominciano a strutturare il contratto tre anni dopo l’arrivo di Ginatta, cioè nel 2018. Ma la fine è dietro l’angolo: i 16,5 milioni di Invitalia per avviare un piano di sviluppo, risultano troppo ghiotti alla vista dell’imprenditore, che li utilizza in maniera “anticonvenzionale”. Inoltre, poco prima dell’arresto del manager piemontese, nel marzo 2019, fallisce miseramente un tentativo di cessione al gruppo cinese Jiayuan. Ma di tentativi ce ne sono stati tanti, e li ha riassunti perfettamente Alessandro Albanese, vicepresidente vicario di Sicindustria: “Si faccia tesoro dell’esperienza e del passato. Finora tutti i tentativi portati avanti con la regia di Invitalia sono falliti nel peggiore dei modi – ha spiegato in una nota –: dal finanziere Simone Cimino con gli indiani della Reva, a Corrado Ciccolella, che voleva piantare fiori al posto delle linee di montaggio; da Massimo Di Risio, con la Dr Motor, a Gian Mario Rossignolo, che intendeva produrre a Termini i mini Suv. Non ultima la Blutec che, nel 2017 sembrava avere tutte le carte in regola e alla quale Invitalia aveva concesso un finanziamento da 20 milioni. Tutti flop incasellati negli anni, alcuni dei quali finiti in guai giudiziari, altri scomparsi nel nulla. E, nel frattempo, sono stati spesi 100 milioni per garantire da quasi dieci anni la cassa integrazione che, a volte, sembra essere stato l’unico reale interesse da tutelare

I buoni intenti sono rimasti sulla carta. Semplice aria fritta per i lavoratori – settecento più l’indotto – che da nove anni galleggiano in attesa di un “miracolo”. Per questo, prima di esultare, aspetteremmo un attimo. La proposta di Smart City Group sembra quella più affidabile. Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, si sono già svolti incontri con Invitalia e Banca Intesa; numerosi, invece, i fondi di investimento “green” che hanno manifestato interesse. Gli aspetti occupazionali, per i quali il consorzio è supportato da Synergie Italia, sono stati oggetto di incontri con Fim Fiom e Uilm. Entro fine mese, inoltre, i rappresentanti del consorzio e delle imprese associate hanno programmato una serie di tavoli con la Regione e altri enti locali, “tra i quali si auspica un primo confronto con la neo-sindaca di Termini Imerese Maria Terranova, che proprio della questione ambientale ha fatto uno dei punti qualificanti del suo programma”. Già, perché a Termini c’è un nuovo sindaco del Movimento 5 Stelle, che pretende di rimuovere la muffa del passato. Una presenza giovane, fresca, preparata, attesa al varco di una città delusa. Che al posto del sogno (iniziale) ha coltivato solo ruggine.