Un recente incontro in Assemblea regionale e una riflessione che ho cercato di contenere e razionalizzare per evitare che sfociasse nel qualunquismo di moda. Mentre ero lì, mi è venuto in mente di confrontare la maestosa grandezza del Palazzo dei Normanni e la qualità della funzione alla quale è destinato, lo straordinario accumulo di storia che vi si è depositato nei secoli e l’entità di quella prodotta negli ultimi decenni. Come fotogrammi di un film, ho rivisto alcuni dei personaggi che lì dentro sono stati protagonisti nel passato e che ho avuto l’opportunità di conoscere, e li ho confrontati con quelli di oggi, tra i quali, va detto, vi è anche chi esercita la propria funzione con dignità ed intelligenza.

Ho pensato a quante speranze erano sorte intorno al Parlamento dell’Autonomia e alla indifferenza dell’opinione pubblica di oggi. Mi sono tornati i dibattiti appassionati e talora fuorvianti sul ruolo della Regione imprenditrice, sui suoi strumenti per lo sviluppo industriale, sulla capacità di elaborare e realizzare processi di crescita fondati sulla finanza regionale e sulle capacità politiche, imprenditoriali e culturali dei suoi esponenti.

Mi sono ricordato della decisione unanime di quel Parlamento di chiedere a quello nazionale di istituire la Commissione antimafia. Si tratta di riflessioni che rischiano di svelare un tempo della vita nel quale si guarda al passato, spesso mitizzandolo, e si scivola nella pericolosa tentazione dell’antipolitica per finire nella denuncia dei riti della democrazia che rischiano di essere visti come orpelli inutili e costosi di un potere autoreferenziale.

Si può sfuggire a questo duplice pericolo, intanto dicendo che si tratta di considerazioni che possono essere estese ad altre sedi delle istituzioni, con il risultato di indicare la sproporzione, talora, tra la solennità di molti edifici e la qualità dei loro inquilini. Naturalmente, lungi da me una concezione pauperistica e un po’ stracciona della politica. Il potere democratico deve essere riconosciuto anche per la solennità delle sedi nelle quali si svolge, per i riti che lo devono accompagnare ed anche per la qualità delle persone, opportunamente preparate e adeguatamente retribuite.

Purtroppo, per tornare alla riflessione di partenza, non si può ignorare la plateale frattura tra forma e sostanza, avvenuta principalmente, non solo in Sicilia, al tempo della seconda Repubblica. Si può e si deve dire quanto vuoto ed insipiente rischi di risultare il lavoro politico che si svolge dentro uno spazio tra i più belli del mondo, tra i più carichi di storia. È possibile farlo, ribadisco senza generalizzazioni improprie. Vi sono infatti coloro che ancora ricordano che lo Statuto, parte integrante della Carta costituzionale, li chiama “deputati”, attribuendo loro l’appellativo di onorevoli, al quale dovrebbe corrispondere la qualità del loro impegno, la serietà dei comportamenti, il decoro personale.

Tuttavia l’agilità con la quale in tanti saltano da un gruppo all’altro, le manifestazioni a volte vistose di scarsa competenza, non concorrono a dare prestigio al ruolo, semmai danno il senso di un’evidente frattura tra ambizione e valori, tra serietà, rispetto per se stessi e ricerca dell’utile personale e dei meccanismi impropri della selezione. Lontano da ogni predicazione retorica, nella situazione data, non so se sia possibile che il Parlamento regionale recuperi ruolo e prestigio, che concili in qualche modo la propria funzione con la straordinaria bellezza di quello scrigno di tesori che è il Palazzo dei Normanni.

Il ruolo del Parlamento che, con qualche cedimento alla retorica e qualche forzatura storica, si proclama erede del primo Parlamento del mondo, è strettamente legato alla realtà attuale della Regione. Essa è priva di risorse, carica di debiti, costretta a garantire con affanno la propria sopravvivenza. So bene che, detto così, il discorso risulta semplificatorio e facile e che sarebbe necessario un approfondimento sulla attualità dell’Autonomia speciale, sul ruolo delle regioni e di un loro coordinamento con i poteri dello Stato, diverso e meno incasinato di quello che è risultato dalla riforma del famoso Titolo V della Costituzione e che si è reso evidente in modo particolare al tempo della pandemia.

Per venire a capo di una situazione che ha via via trasformato la Regione da opportunità ad ostacolo dello sviluppo, è necessario partire dalla consapevolezza di un vero e proprio fallimento, per ridisegnare un ruolo adeguato a fronteggiare le questioni che oggi sfidano la politica, che hanno ridotto la sua capacità di orientamento e di guida, l’hanno resa subalterna alla finanza, ai processi di globalizzazione, alla dimensione delle scelte economiche. È un tema che travalica la Regione e il suo Parlamento. Ma è un tema che il Parlamento, per la sua parte, non può ignorare. Ci si dovrebbe porre, al netto di ogni sofisticata discussione, le domande: a cosa serviamo, quali funzioni abbiamo, cosa possiamo fare per recuperare un ruolo?

Non ci sono risposte facili. Ma qualcosa c’è pure da tentare, prima che Ercole abbatta la sua nodosa clava su coloro che occupano gli scranni dell’aula a lui intitolata.