In fondo, a rileggere alcune interviste del post – fra pericolo scampato, complotto negato e leggeri pruriti per la tempistica applicata (ma nulla più) – sembra che mercoledì scorso all’Ars non sia successo nulla di così grave. Eppure il flop catastrofico di Musumeci, sorvolato persino dal rappresentante dei Cinque Stelle nell’elezione dei delegati per il Quirinale, resta agli atti. Ha determinato lo sconquasso di un centrodestra mai così diviso e vendicativo. La caduta libera di un governatore ‘accoltellato’ (alle spalle) da sette-otto “scappati di casa” che per altro sarebbero una dozzina o poco più.

E’ un presidente che di fatto non esiste più. E che pure ha dovuto stringere i denti, rassegnandosi all’immobilismo, al congelamento delle dimissioni prima e dell’azzeramento poi, per evitare di finire impallinato sull’esercizio provvisorio. E sulla prossima Finanziaria, magari. Dovrà inghiottire il rospo finché i partiti non si decidano a fare qualcosa. Sempre che si decidano… Intanto, però, i segretari lo rassicurano in un modo nell’altro. Allungando un sorriso dopo aver digrignato i denti. Sono i giorni del brodino.

Era stato lo stesso Micciché, in apertura, a dichiarare che “sette voti in più (quelli a favore del grillino Di Paola, ndr) non possono essere definiti prova di un complotto nella maggioranza”. Un modo per calmare Musumeci, assai furibondo, che invece “avrebbe dovuto prendere l’episodio come un’informazione, un messaggio di carattere politico sul quale impostare un dialogo, invece…”. Invece no. Musumeci non ha smaltito ancora le tossine dello smacco, sebbene a ridimensionare l’accaduto ci abbiano provato anche altri. Ad esempio il segretario della Lega Nino Minardo, che al netto del malumore per “il mezzo scelto” (Facebook) e per l’annuncio tonante dell’azzeramento (“quello che importa è che non è stato formalizzato”), bolla come “fantapolitica qualsiasi congettura che riconduca il voto d’aula a manovre interne e messaggi trasversali dentro gli stessi partiti, almeno dentro il nostro, che parla a una sola voce”. “Siamo sempre ancorati nel centrodestra”, racconta a Live Sicilia il segretario del Carroccio.

Insomma, caro Nello, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Ma occhio a non fare imbizzarrire l’Udc. Dal segretario regionale Terrana, finora, solo segnali di pace: “L’Udc si farà portavoce per cercare di trovare i punti incontro e non di scontro all’interno di una maggioranza che gioca la stessa finale. Siamo per cultura moderati”. Anche Salvo Pogliese, nelle poche riflessioni raccolte da ‘La Sicilia’, dice che quanto accaduto merita una riflessione (evviva), ma “in qualsiasi scenario la priorità assoluta resta la compattezza della coalizione”. Come si direbbe nell’ultima campagna elettorale di borgata, “non conta quello che ci divide, ma quello che ci tiene insieme”. Cioè, cosa? Di certo non Musumeci. Hai voglia di brodini…