La nuova sessione di Bilancio sarà un’occasione e un modo per conoscere la situazione finanziaria di Riscossione Sicilia, uno dei numerosi carrozzoni che la Regione si porta dietro e che, nonostante gli annunci, non verrà chiuso. Basta risalire allo scorso ottobre, quando Palazzo dei Normanni votò una norma per rateizzare i debiti accumulati dalla partecipata, e alle dichiarazioni del presidente Nello Musumeci: “Riscossione Sicilia è salva – esultò il governatore, che ci aveva messo a capo l’avvocato tributarista Vito Branca, catanese come lui –. Grazie alla norma presentata dal governo regionale e approvata dall’Ars, la società potrà spalmare, nei prossimi dieci anni, il debito di circa settanta milioni di euro accumulato nelle precedenti gestioni. Con questo intervento legislativo non solo Riscossione non sarà posta in liquidazione, ma potrà essere gestita come società virtuosa”.

Nessuna continuità amministrativa con quanto disposto dal governo Crocetta, che in coda alla propria avventura, con la legge regionale n.16 dell’agosto 2017, aveva avviato “le procedure di liquidazione di Riscossione Sicilia S.p.A. (…) previa stipula, entro il 31 dicembre 2018, di apposita convenzione con il ministero dell’Economia che assicuri il mantenimento dei livelli occupazionali del personale con contratto a tempo indeterminato”. Ma gli intenti di quel provvedimento sono rimasti sulla carta. La convenzione non è mai stata stipulata e anche il Ministero dell’Economia, in tutta questa storia, non è al riparo da responsabilità. Il tavolo tecnico si è insediato a dicembre dello scorso anno, ma non ha deciso granché. L’interlocuzione fra Regione e Mef si è più volte interrotta, e dopo il passaggio dal Conte-1 al Conte-2, addirittura, non è più ripresa. Così il destino di Riscossione rimane profondamente incerto.

La controllata della Regione riscuote i tributi in Sicilia, ivi compresa la parte di spettanza statale. E nel tempo è stata protagonista di numerose polemiche. Ad esempio per l’emissione di “cartelle pazze” a cittadini del tutto ignari o, storia di qualche anno fa, quando l’ex amministratore unico Antonio Fiumefreddo, stilò l’elenco dei deputati morosi, scatenando l’indignazione pubblica e al tempo stesso l’ira della politica. Che poi decise di disfarsene. Ma fino a ieri, cioè al comunicato di Musumeci, Riscossione Sicilia ha rappresentato – come tutti i carrozzoni d’altronde – un peso imponente per i conti della Regione. La sua massa debitoria e le perdite accumulate dalle precedenti gestioni, avevano convinto Crocetta a porla in liquidazione e cedere la mano. Ma prima sarebbe servito l’ok da parte dello Stato, che avrebbe dovuto “assorbire” dipendenti e funzioni nell’Agenzia delle Entrate e della Riscossione (Ader). Un passaggio che non si è mai consumato del tutto, come detto.

Regione e Ministero, fin qui, hanno preferito mettere in stand-by la questione. Così nel febbraio di quest’anno, l’Ars ha approvato una legge che ha stabilito la proroga della liquidazione di Riscossione Sicilia fino a dicembre 2019, determinando che se entro tale data non verrà firmata alcuna convenzione con l’Agenzia delle Entrate, la Regione sarà autorizzata ad “avviare le procedure per la costituzione di un nuovo soggetto giuridico strategico nelle forme più appropriate che possa essere intestatario della convenzione ministeriale per la riscossione dei tributi e delle imposte nella Regione”. Delle due l’una: o cessione allo Stato o nuovo soggetto giuridico. Per sollecitare una soluzione in tempi rapidi – che però non sono mai maturati del tutto – a giugno di quest’anno tre deputati del Movimento 5 Stelle hanno adottato una risoluzione per impegnare la Regione a fare il primo passo: “La costruzione di un nuovo sistema di riscossione – hanno spiegato gli onorevoli Tancredi, Sunseri e Zito – non può avvenire sulla base di disposizioni regionali generiche, ma queste devono essere vincolanti e vanno concordate direttamente con lo Stato. E’ indispensabile, in qualsiasi caso, avviare la concertazione tra la Regione Siciliana e il ministero dell’Economia”.

Il solito canovaccio. Ma l’incantesimo si spezza a ottobre, quando l’Ars inserisce e approva una norma del “collegato” alla Finanziaria in cui autorizza l’assessore regionale all’Economia a
compensare le posizioni debitorie e creditorie con Riscossione Sicilia S.p.A. e a rateizzare il debito residuo (di 70 milioni, secondo Musumeci) in dieci anni con l’applicazione del tasso di interesse legale. A questa presa di posizione da parte della Regione, che di fatto scongiura la liquidazione della società controllata, non segue alcun atto formale. Se non un’audizione in commissione Bilancio (di pochi giorni fa) con i vertici di Riscossione, e alla presenza della dirigente generale del Dipartimento Finanze e Credito, Benedetta Cannata, in cui il presidente Riccardo Savona conferma l’intenzione di salvaguardare i dipendenti (circa 700), e di dare attuazione all’ultima legge approvata all’Ars sulla compensazione di debiti e crediti.

A fine dicembre però scade la proroga, e l’unico modo per prendere tempo in attesa delle decisioni del Ministero, è prolungare i termini di un altro anno (cioè fino al 31 dicembre 2020). Nella speranza che nel frattempo riprenda l’interlocuzione e si arrivi a un esito. Cedere Riscossione – facendola entrare sotto l’egida dell’agente di riscossione nazionale – o rilanciarla del tutto. Il Movimento 5 Stelle si affida al buonsenso dei decisori, ma fa anche trapelare una preoccupazione: che in questo eterno bighellonare, non si inseriscano i privati e “rubino” il giocattolo (“Sarebbe lo scenario peggio e va assolutamente evitato” ci confida un grillino).

In questo momento le difficoltà economiche della controllata, non appaiono insormontabili, dato che è un periodo di rottamazioni e il fatturato dell’azienda si eleva. Anche la montagna debitoria si è abbassata: una parte di essa è rappresentata da sanzioni, che in caso di cessione potrà essere azzerato con il riconoscimento dell’agio da girare all’Agenzia delle Entrate. Ma la questione economica va affrontata nell’ottica della conservazione o della cessione, non dell’attesa. Per permettere alla società di funzionare bene servirebbe una ristrutturazione tecnologica e investimenti di un certo tipo. La cessione allo Stato porterebbe a un alleggerimento della situazione finanziaria della Regione, ma anche alla perdita di una prerogativa statutaria (solo le Regioni a statuto speciale hanno la facoltà di riscuotere i tributi). Tuttavia è chiaro che se la Regione dovesse lavorare nell’ottica del rilancio, trattando Riscossione alla stregua di un’azienda virtuosa (Musumeci dixit), le diseconomicità dovrebbero essere ridotte al minimo.

Tutto è basato su valutazioni di carattere economico. Anche se la stella polare di questo ragionamento è la salvaguardia dei dipendenti (che allo stato attuale, solo un accorpamento all’Ader garantirebbe del tutto). La scelta è politica e resta nelle mani del governo regionale. Tornando a Musumeci e al suo bagno d’ottimismo, è necessario ritirare fuori la seconda parte di quell’encomio al lavoro dell’Ars (per una volta) e a quello dei vertici di Riscossione, dopo che venne scongiurata l’ipotesi della liquidazione: “Un percorso che è stato possibile attivare grazie anche al nuovo corso avviato dalla governance voluta dal mio governo e guidata dal presidente Vito Branca, che ringrazio insieme a tutto il Consiglio di amministrazione, per l’oculata gestione dell’ultimo anno. Riscossione, in questo modo, riuscirà a diventare una società in grado di operare in modo efficiente”. Ha buttato le basi Musumeci. Che sia la volta buona?