Meglio pop che populisti, direbbe il saggio. Meglio una “Signora Lia” che “stasera stai con tuo marito” che una signora Marièta che è solo un attimo montàr in gondola, risalire il Po fino alla foce e, con la sacra ampolla in mano, intonare “Saluteremo Roma ladrona”. Ma tant’è: potenza della musica leggera e della politica pesante. Perfino il fronte oltranzista della vecchia ideologia canzonettistica ha dovuto fare retromarcia: oggi stanno con Baglioni pure quelli che il passerotto di “Sabato pomeriggio” lo avrebbero legato alle rotaie della “Locomotiva” di Guccini. Splat. Morto. In un niente. Nemmeno il tempo di fare “cip”.

Probabilmente il vicepremier Matteo Salvini e la neo-direttora di Rai1 Teresa De Santis non avevano fatto i conti con la cinquantennale popolarità del Divo Claudio, negli ultimi tre lustri peraltro foraggiata dal suo impegno per la “causa migranti” con una dozzina di edizioni di “’O Scia’”, partita come una schitarrata estiva tra artisti-turisti-villeggianti sulla lampedusana spiaggia della Guitgia e trasformatasi negli anni in una sorta di Woodstock nostrana all’estremo lembo del Vecchio Continente per sensibilizzare – tra un cantante e un comico – sul tema dei profughi ballonzolanti su vecchi barconi di legno fradicio.

Accade adesso che Claudione nostro – interrogato in Riviera dai giornalisti alla conferenza stampa dell’imminente Festival di Sanremo, di cui bissa la direzione artistica – dice la sua, accusa questo governo ma anche i precedenti (udite udite, se la prende pure con il Pd che, distratto come al solito, per giunta lo incensa) sul modo in cui hanno finora trattato la questione. Tradotto in poche ma sentite parole: scarsa competenza, superficialità, senso del divieto e non dell’accoglienza, fiuto poliziesco e nessun afflato umanitario. Una commedia dai toni grotteschi se non fosse una tragedia dalle tinte cruente. Poi, per sovrappiù, Claudio dice: il nostro Paese s’è incattivito, è rancoroso, una bell’aria proprio non si respira, insomma, il solito refrain dei soliti buonisti che fa saltare i nervi a Salvini tanto che perfino gli stucchi del delizioso Teatrino del Casinò si staccano da soli.

Il buon Matteo non ce la fa più, pover’uomo, già c’è Conte che scalpella con forza il suo granitico divieto sullo sbarco dalla Sea Watch, ora ci si mette anche Baglioni: e così Salvini invita il poeta della “maglietta fina” a cantare e basta (che, come è noto, cantando passa) dimenticando non solo “’O Scia’” ma anche qualche canzone, come si diceva un tempo, un po’ più sociale dell’artista romano, da “I vecchi” a “Le ragazze dell’Est”, per esempio. Ci mette il carico la neo-direttora di Rai1 che pure di quei motivetti e della kermesse lampedusana, da ex cronista musicale de “il manifesto”, dovrebbe ricordarsi: e che invece, con una foga da far quasi impallidire l’editto bulgaro berlusconiano, promette che Baglioni, da domenica 10 febbraio, giorno in cui finirà il suo incarico festivaliero, Sanremo non la vedrà più non solo dall’Ariston ma nemmeno indicata sulla segnaletica stradale e dovrà forse fermarsi ad Arma di Taggia subendo l’onta che i suoi amici migranti sopportarono a Ventimiglia.

Coraggio, da qui al 5 febbraio, al primo attacco dell’orchestra, chissà quanti altri attacchi partiranno. Già l’Italia di governo, sottogoverno, opposizione, gruppi misti, senatori a vita e franchi tiratori sta schierando le proprie forze: settimo piano di viale Mazzini, Commissione di Vigilanza, comitati spontanei da “boicottiamo Sanremo” a “#iostoconBaglioni”, editorialisti politici, critici musicali, opinionisti bon-à-tout-faire, stiliste da talk show pomeridiano, casalinghe di Voghera e quant’altra fauna offre il nostro Paese dei Campanelli. Pare sia stata anche istituita una Commissione di studio per analizzare i testi dei brani concorrenti al festival: troppi rapper sul palco, hai visto mai che da “cuore/amore” si passi tutto d’un botto a “Lega/sega”?