I volti della Formazione professionale in Sicilia sono tanti: ci sono quelli dei 1.350 ex dipendenti che la settimana scorsa, rappresentanti dall’avvocato Angela Fasano, hanno chiesto a Bruxelles sanzioni contro la Regione siciliana per aver speso male i fondi comunitari; e quelli di una manciata di persone che mercoledì, dopo l’ennesimo incontro a vuoto, hanno deciso di occupare le stanze dell’assessorato al Lavoro, in via Trinacria, dopo aver trascorso parecchie notti all’addiaccio, di fronte alla stessa sede. Ma i volti della Formazione professionale, in Sicilia, sono anche quelli di Francantonio Genovese, un ex politico “influente” di Messina, col figlio tuttora all’Ars; e di Paolo Genco, imprenditore nativo di Salemi, patron dell’Anfe. Entrambi coinvolti nei numerosi scandali che in questi anni si sono abbattuti su un mondo fatto a pezzi dalla politica, e dagli interessi di pochi. Un mondo che non si è mai ricordato dello scopo per cui era nato: fornire a giovani e disoccupati uno strumento per approcciare al mercato del lavoro. E che, piuttosto, si è rivelato una mangiatoia di consensi, politici e personali.

Qualche settimana fa, l’Assemblea regionale ha approvato la legge di riforma della Formazione professionale, ferma al 1976. Abrogando, nella sostanza, la clausola che prevedeva il ricollocamento – in altri enti della Pubblica Amministrazione o in enti privati, sulla base di protocolli d’intesa – di tutti gli operatori che, assunti a tempo indeterminato dal circo della Formazione (quanta grazia!), prima o poi si fossero ritrovati in mezzo a una strada. Licenziati. Nessuno, però, aveva provveduto ad applicarla. Tanto che a partire dal 2010, quando si manifestano i primi segnali della peste bubbonica, gli enti “scartati” appositamente dalla politica, fatti fuori da qualsiasi contributo, si limitano ai licenziamenti collettivi.  Alla faccia del ricollocamento.

Prima della crisi, che coincide con gli anni del governo Lombardo, il bacino della Formazione – secondo una relazione del 2011 della commissione Bilancio all’Ars, riportata da “Il Fatto Quotidiano” – era arrivata a contare 10 mila unità, il 46% del dato complessivo nazionale. Assurdo. E in corrispondenza delle scadenze elettorali (in modo particolare nel 2006 e nel 2008) si registrava il picco. Più che il bacino della Formazione, sembrava un bacino elettorale consolidato. Ed è quanto emerge da una recente inchiesta della Procura di Trapani, che pone in stretta relazione l’ex deputato dell’Ars, Giovanni Lo Sciuto, e Paolo Genco, massimo esponente dell’Anfe. Uno degli enti storici che però, nel 2016, fu escluso dal sistema di accreditamento secondo il nuovo indirizzo vagliato dal governo Crocetta. Sarebbe costato a Genco & co. un ammanco da 15-20 milioni l’anno.

Una perdita intollerabile a cui la “premiata ditta” – Lo Sciuto era il megafono politico di Genco, da cui (secondo gli inquirenti) otteneva in cambio assunzioni – cercò di ovviare con alcune prove di forza (ma il Riesame ha stabilito che non fossero minacce, bensì critiche) nei confronti dell’ex assessore Bruno Marziano e di un dirigente. Genco, tra il 2010 e il 2013, era già finito al centro di uno scandalo per essersi intascato, assieme all’imprenditore Baldassarre Di Giovanni, 53 milioni di fondi comunitari, e per aver falsificato una quantità industriale di fatture allo scopo di giustificare spese mai sostenute. Secondo la Procura, quei soldi gli rimasero in tasca, o furono utilizzati per altri scopi (come l’acquisto di 41 immobili).

Casi come l’Anfe, confermano che l’abbondanza di risorse pubbliche, giustificata da un fine nobile, non faceva altro che spremere il sistema. E che questo, in realtà, fosse diventato il bancomat di attività illecite politico-dirette. Come nel caso di Francantonio Genovese, ex deputato nazionale del Pd, poi passato a Forza Italia, e alle ultime Europee simpatizzante della Lega. Per la questione dei “Corsi d’Oro” è stato condannato in appello a 6 anni e 8 mesi. Nelle motivazioni di primo grado (a 11 anni e passa), i giudici facevano riferimento a una “sistematica quanto capillare depredazione di risorse pubbliche”. Nelle carte si leggeva che “l’ente di formazione è, per un verso, un imponente bacino cui attingere consenso elettorale (ciò vale all’evidenza per l’imputato Genovese) e, per altro verso, solo lo strumento per appropriarsi di denaro pubblico”. Gli scandali si sono susseguiti: c’è quello del Ciapi, e del manager Fabio Giacchetto condannato a 8 anni; ma anche la Corte dei Conti ha riconosciuto e imputato ai politici, compreso Crocetta, uno sperpero da 32 milioni di euro per l’assunzione di 1.750 sportellisti multifunzionali, oggi rimasti senza lavoro, e l’indizione di corsi fantasma e autoformazione a casa. Scandali che hanno contribuito al medesimo risultato: far implodere il sistema.

Nel 2010 la Regione non stanzia un centesimo, ma emette un avviso da 400 mila ore, che secondo gli standard del Fondo Sociale Europeo valgono 127 euro l’una (per una cinquantina di milioni complessivi). Il problema è che la metà di queste ore va un solo ente, e a pochi altri restano le briciole. A decine, invece, iniziano a fallire e a chiudere, lasciando in mezzo a una strada le vittime designate: i formatori. La vertenza che ne segue si misura costantemente con la sordità della politica e con alcuni casi di suicidio.

Il 2018 è l’anno in cui al Ministero del Lavoro, per iniziativa di Luigi Di Maio, si apre un tavolo con la Regione: l’obiettivo è mettere a punto una exit strategy che consenta di applicare la legge regionale del ’76, che prevede il ricollocamento degli operatori: ma è un valzer che si prolunga nel tempo e del quale nemmeno la ministra Catalfo, tra l’altro ex sportellista e nominata dal governo Conte-2, riesce a venire a capo, anche perché “la tematica è regionale”. Nei prossimi giorni è previsto un incontro con gli assessori Lagalla (Formazione) e Scavone (Lavoro).

Nei confronti di quest’ultimo, i 1.750 ex sportellisti (ma oggi la platea degli “interessati” si è quasi dimezzata) hanno esercitato in questi mesi un pressing costante per ottenere la possibilità di andare a rimpolpare i Centri per l’Impiego siciliani, dove hanno appena cominciato a lavorare 400 navigator. I Cpi, che nell’Isola già vantano 1.700 impiegati, sono in odor di assunzione e l’unica promessa ricevuta dall’assessore è che aver fatto lo sportellista, farà punteggio in vista dei prossimi concorsi (dovrebbero uscire tre bandi per 1.135 posti entro il 2021).

A Bruxelles, intanto, è stato accolto il ricorso dell’avvocato Fasano, in rappresentanza degli ex dipendenti, ed è partita una lettera per aprire una procedura d’infrazione. Destinataria: la Regione siciliana. “Se non dimostra di aver agito in modo virtuoso, ci saranno pesanti sanzioni” ha annunciato la legale, secondo cui i soldi del Fondo Sociale Europei “sono stati gestiti male”, e talvolta sono stati destinati ad altri capitoli di spesa. “Una condotta che ha leso la dignità dei siciliani, scellerata e senza morale”.

Nel frattempo, la Regione ha prodotto una riforma, abrogando la stantia legge n.24/1976, che secondo l’assessore Lagalla “consentirà di modificare profondamente il comparto della formazione professionale in Sicilia facendone, finalmente, strumento efficace delle politiche attive del lavoro. Abbiamo portato avanti sia l’obiettivo di garantire tutele agli attuali operatori del settore della formazione – ha aggiunto l’ex rettore dell’Università di Palermo – sia quello di rendere il sistema maggiormente efficiente e coerente con le tendenze dei mercati, al fine di garantire percorsi formativi utili e spendibili. Il nuovo sistema, inoltre, consentirà una maggiore vigilanza da parte dell’amministrazione e lo snellimento delle procedure necessarie all’espletamento delle attività”. Sembra tutto bellissimo, anche se per Adriana Vitale, degli Ex sportellisti liberi, “gli effetti saranno solo manciugghia per nuovi enti emergenti, nuova cooptazione senza che la Regione ne pagherà più lo scotto e nessuna tutela per i lavoratori né storici, né nuovi. Saranno infilati nel calderone del precariato, sottopagati e senza diritti”. Al netto degli scandali, quella della Formazione professionale resta una questione aperta. Vecchia come la Sicilia e, ormai, popolata di fantasmi.